venerdì 27 giugno 2014

GIORNI D'ESTATE

  

Giorno d'estate, giorni felici infelici sereni... giorni. Appunto GIORNI che qualcuno ci ha donato volente o anche casualmente. Oggi, ad esempio, me lo VOGLIO immaginare 


SUBLIME.   Domani è festa importante, San Pietro e Paolo, il santo dei dubbi, delle paure e delle incertezze e poi del laborioso e paziente fare quotidiano, tanto da meritarsi quel "su questa pietra" costruito ovviamente dopo dagli esegeti. 

Unito a lui il nome del convertito, ovviamente a causa di un trauma, di una illuminazione miracolosa, solo così può giustificare a sé e agli altri la solita irruenza usata all'incontrario e con la stessa determinazione necessaria.


Poi c'è il tempo necessario a vestirsi con pantaloni, scarponi, ottima (nel senso che protegge dal caldo e dal freddo) camicia di flanella a colori intonati, la casacchina adatta a prevedere un qualche acquazzone sempre probabile sopratttutto in queste verdi vallate dell'Alpe di Siusi, così ordinate, quasi pettinate. Quel che colpisce, neanche una banale cicca di sigarette, cicche così ben presenti e inconfondibili ovunque da noi italici. Nei tempi andati almeno non avevano il filtro e dopo un po' scomparivano e adesso son lì a ricordarmelo (ancora ogni tanto m'arrischio a farmi sgridare e me ne compro un pacchetto, sempre le solite MS morbide, da fumare di nascosto).

E sono fortunato, proprio nei prati che circondano lo SCHLUNHOF che mi ospita c'è qualcuno che si dondola nell'ALTALENA, no non è questo imbronciato cagnotto solitario e imbragato, son le tre figliolette dai 6 ai 14 anni, biondissime, snellissime che fra un aiuto e l'altro nell'accudire l'esterno con ramazza e innaffiatoio trovano il tempo di giocare come tutti i bambini (e pampine) del mondo, forse con qualche capriccio evidente in meno per non disturbare noi ospiti (a parte quando si mettono al calcio-balilla che allora qualche strillo agonistico per fortuna arriva). 

E per fortuna MADRE NATURA prevale anche per loro come con questo operoso signore


che studia la MATERIA che lo circonda e contemporaneamente provvede a ricostituire le sue riserve di cibo, dandoci anche una mano a mantenere pulito l'ambiente. Problemino complesso anche perché molti dei contenuti che a noi interessano sono necessariamente e opportunamente protetti, peccato però che ciò che protegge sia molto meno deperibile del contenuto e gli infiniti frantumi che noi diffondiamo all'intorno non possono venire lavorati da questi che noi chiamiamo con altezzosa sufficienza STERCORARI.

E ancora per fortuna, la giornata, appunto per fortuna, continua e c'è tempo abbondante per il paio di chilometri per arrivare al paese e rifornirsi di giornali, fare due chiacchiere sui dintorni, salutare qualche omologo coetaneo impegnando così quel tanto di tempo utile per arrivare al momento del ritorno. Ritorno tanto più gradito perché comincia a farsi sentire il sole e quindi il desiderio di ombra e  


di REFRIGERIO, come questo simpatico e quasi disperato signore qui a fianco che rischia la bronchite, per soddisfare le necessità del suo fotografo.



Per me la situazione non è così tragica per fortuna, però tornare al coperto aiuta e ... poi ci sono i fatti ancora da leggere, commentare con se stessi e, perché no, riportare con ironia (son sempre presuntuoso!) su FB in attesa che qualche compiacente amico metta il suo MI PIACE e qualcuno dei miei ex-studenti più che cinquantenni venga a farmi qualche sberleffo in nome di slogan diversi, senza cattiveria, ma solo con lo stile con il quale ci rapportavamo quando loro avevano attorno ai 15 anni e i miei eran tanti di meno.

Pazienza e per fortuna, ma ormai è tempo di chiudere, anch'io sono arrivato al momento della LICENZA...


anche se  alla fine io ormai più NON TOCCO   

e  allora     saluto con commossa malinconia

TUTTI VOI che per CASO  o per CUROSITA'

di qui passate e....                


 COSI' SIA!



VIVA L'ESTATE & LA COMPAGNIA


giovedì 19 giugno 2014

1955. MATURITA'




 Lo scrivente, cappellone a sinistra. Con abbondanti ORECCHIE. IV E


L’ultimo anno, anche e soprattutto allora, era dedicato alla messa a punto dei singoli e dell’insieme. La maturità era una cosa impegnativa, anche se gli argomenti erano quelli dell’ultimo anno con i riferimenti degli anni precedenti. Qualcosa era stato già ammorbidito rispetto a qualche tempo prima, però gli orali vertevano su tutte le materie, con commissione completamente esterna più il commissario interno in veste ovvia di avvocato difensore che doveva però dare l’impressione di saggia imparzialità. L’unico vero addolcimento era che mentre prima si portavano gli interi programmi degli ultimi tre anni, adesso erano gli interi programmi di tutte le materie SOLO dell’ultimo con gli ovvi riferimenti agli anni precedenti.

Per alcune materie, lettere, storia, latino, matematica, fisica, ma anche storia dell’architettura e francese, significavano (i riferimenti) pressochè gli interi programmi anche se poi ci si affidava al buonsenso della corte e all’abilità del commissario interno.

Da notare poi che eravamo le prime classi a concludere un percorso scolastico cominciato in situazione di normalità. Quando eravamo partiti nel 1950 gli odori della guerra, delle distruzioni, delle piccole, si fa per dire, "ferocie" da dopoguerra erano quasi ricordi consolidati o sulla strada di diventarlo. Le conseguenze  personali delle adesioni politiche e degli schieramenti erano ormai chiare, una buona parte aveva cambiato colore alla camicia conservando luogo di lavoro e spesso anche grado e funzione non solo nell’impiego privato ma anche in quello pubblico (l’amnistia Togliatti risolse parecchio.e chi, come mio padre, lavorava in corpi dello stato scomparsi e non aveva l’età per essere assorbito nei nuovi corpi di polizia o dell’esercito si era in qualche modo trovato una sistemazione magari passando da un lavoro impiegatizio a uno di tipo operaio.

Chiaro che non avendo una preparazione tecnica adeguata il ruolo non poteva che essere quello di manovale. E magari ci fosse, sempre, quel lavoro!

Ritornando poi al clima dell’ultimo anno, non eravamo solo noi sotto esame ma anche i nostri prof e in particolare quello che oggi si direbbe di materie letterarie, il prof Suadi, per molti motivi legati all’importanza che l’insieme delle sue materie rappresentava nell’ambito della riforma Gentile, ma anche perchè la sua cattedra, cioè le ore di insegnamento e di lavoro suo proprio, era tutta nella nostra classe.

Così ripulitura e consiglio di rivedere il latino, già semplificato per lo scritto dal (latino) e non in (latino), il chè significava una iniezione di lezioni private perché praticamente avevo campato di rendita sulla buona base ricevuta nelle medie inferiori in Seminario. Lo scritto di latino non era così preoccupante, ma la traduzione a vista dell’orale non poteva basarsi sui suggerimenti del dizionario o sui messaggi vari dei compagni. Naturalmente significava che nell’amministrare il salario di mio padre, mia madre doveva trovare una nicchia di disponibilità pari al 5/10 % del totale, magari incrementato con una giusta dose di ore straordinarie. Di questo te ne rendi conto solo anni dopo e neanche allora non pienamente.

Comunque nell’insieme l’esame andò, anche lo scritto di matematica, materia a me non ostica ma ero inciampato in una amnesia pericolosissima, fu portato a compimento grazie all’aiuto di una compagna che aveva messo gli appunti sotto l’elastico che teneva le calze (le ragazze, saggiamente, avevano deciso di sembrare delle donne, e a 18/19 anni non era poi così difficile neppure allora). Giuro che non mi ricordo come fosse il supporto di quegli appunti.

Lo scritto di architettura, che comprendeva anche una specie di disegno-ricopiatura del particolare fornito dal ministero, poteva essere solo uno dei tre:  romanico, gotico, barocco. Captato il collocamento del particolare, al resto pensavano i rotolini sviluppati sotto gli occhi attenti della commissaria appoggiata al mio banco (ero sempre nella prima fila), che ovviamente controllava attentamente ... quelli dietro di me.

Agli orali frana paurosa in francese e in scienze, onesta difesa nelle altre, brillante in storia e pure filosofia. In storia, forse perchè il mio accento non era pienamente triestino (e poi mi chiamo Benito!) il giovane commissario mi sottopose un problema non certo nel programma: il destino di Trieste se la guerra fosse andata in modo diverso. Io, senza barare ma con convinzione, sostenni che sarebbe passata sotto l’influenza germanica e così gran parte dell’Istria. Naturalmente blah, blah rientrava in una politica di sbocco sull’Adriatico etc. etc. Complimenti, accompagno all’uscita dall’aula, stretta di mano.

E un miserabile 7, unico in una marea di 6. In effetti io mi aspettavo il rinvio a settembre in francese e scienze però voti brillanti in storia, filosofia e sopra il 6 almeno in matematica. Siamo strani noi studenti, anzichè notare il passaggio in prima battuta, mi diedero fastidio altre cose, però non è così ingiustificato, almeno così avrei capito e dimostrato di eccellere da qualche parte e invece… Invece come mi disse il prof Suadi, promozione, gli altri voti al 6, il 7 in storia perchè il commissario mi aveva difeso, anzi si era risentito della richiesta.

Il mio ego in qualche modo fu soddisfatto e quando 10/15 anni dopo toccò a me fare il commissario interno compresi di essere stato trattato con giustizia. E poi, diciamo la verità, io ero campato di rendita grazie alla ricerca individuale sulla rivoluzione francese e il Robespierre (con il forte aiuto del Michelet e del meraviglioso prof. Lonza brillante e umano segretario socialista in Trieste), fondamenta che prima o poi mi avrebbero riportato sul sentiero giusto dopo la sbornia giovanile repubblichina, ma delle altre cose, come il Congresso di Vienna, le guerre coloniali e tutte quelle balordaggini lì io sapevo ben poco. Quello che sapevo, per letture personali sul fascismo e il suo fondatore non era certo spendibile allora. Per fortuna anche mia.

E adesso? Adesso un senso di vuoto, di pavimenti traballanti, un futuro incognito che non trovava aiuto in esperienze o tradizioni familiari , anzi toccava a me costruire quelle tradizioni, incombenza poco gradevole che cominciò a far crescere quel fondo anarcoide e vagamente antisistema che amavo far risalire al misterioso nonno anarchico, morto nel 1926, e di cui avevo trovato tracce nei quotidiani triestini dell’epoca.

NB: ho ritrovato sul web il testo e lo sviluppo della prova scritta di MATEMATICA. 
Non ci ho capito niente,  UN NUOVO GRAZIE alla TITTI e alla sua idea di essersi messe le calze, invece dei soliti calzettoni come usava allora anche a 18/19 anni e dovevano essere splendide ...

venerdì 13 giugno 2014

nel 2015 saran già SETTANTA...

Si avvicinava la fine dell'AVVENTURA, eppure non lo sapevano, bambino poco più di otto anni mi mescolavo con loro la sera nel punto di incontro per la cena nei locali della piccola quasi caserma della Legione Ravenna in quel di Bussolengo, anni 1944/45. Eran partiti INSIEME da Ravenna i più vecchi, pur sempre sotto i 40, e i più giovani, alcuni neppure 18 anni e questi ultimi equamente distribuiti fra maschi e femmine. Era una delle novità di questi ultimi anni del fascismo del 1922 e nuovissimi mesi del fascismo cosiddetto repubblicano, quello di Salò per intenderci, che aveva visto il formarsi e il consolidarsi di una presenza femminile in armi in funzioni nettamente militari o, comunque, di polizia.

Nei ricordi l'atmosfera era rilassata, sì ogni tanto qualcuno intonava le classiche e rituali canzoni da divisa, ma lo si faceva sopratutto per convincere Calderoni a tirar fuori il violino e via a darci dentro di mazurka, ed ecco  così anche allora ricordarmi  la casa di mia nonna di Romagna e quando si copriva di asse (plurale dialettale di "assa" che significa semplicemente una tavola di legno buono e buona a tutti gli usi) la vascona della legna a fianco del camino per far posto ai tre suonatori armati di fisarmonica, violino e roba da bocca. E spesso e ogni tanto il "gagio" Calderoni scivolava su roba malinconica, robe che magari le aveva imparate girando dopo il '40 per quei posti della slavonia, poi quell'allegria riprendeva subito e Calderoni mi prendeva sulle ginocchia, chissà magari ripensava alla sua LIA di solo qualche anno più grande di me ma rimasta a Ravenna con quella matta della Natalina, la sua donna. 

Già la LIA, così strana per una romagnola con quei capelli tra il biondo e il rosso (e i miei occhi adoranti nei miei 15 anni), anche se poi a ben pensarci persino mia madre aveva gli occhi chiari chiari e i capelli più rossi che castani forse ricordi raccolti nei secoli da antenate pronte a incontrare qualcuno di quei tanti calati dal nord est e nord ovest in cerca di nuovo e, diciamo noi presuntuosi, di civiltà.

Ebbero molto da ridere una sera quando sbucò  dalla zona cucina il mio fratellino (ovviamente Italo tanto per cambiare e in ricordo di un certo Balbo che gratificava l'ambiente tutto sommato non troppo in linea della Romagna e anche di un certo BOLDRINI piuttosto imprevedibile e che era pur stato uno dei loro capi manipolo), con in bocca una sigarettona accesa e piantata dentro un pipina di legno e splendidamente fumante, sigaretta rubata probabilmente a mia madre accanita fumatrice di MILIT, madre che ovviamente intervenne a proteggere il suo piccolo e bellissimo ultimo nato (1940), prima che soffocasse aspirando troppo.

Ma inevitabilmente  scendevano di tanto in tanto i silenzi e le inquietudini assieme al DESIDERIO di normalità e li sentivo allora cominciare a parlare di armi segrete, di cose risolutive che l'aprile vicino avrebbe portato ed era un SOGNO che era condiviso da tutte le parti in gioco, anche se ovviamente con soluzioni diverse ed opposte. 

Ma ormai cinque anni di guerre e di un futuro mai razionalmente prevedibile avevano lasciato il segno e così l'inevitabile alla fine arrivò. Durante il giorno capitava a mia madre di andare con un cavalletto e noi due piccoli da Bussolengo verso l'Adige (il compito assegnatole era bloccare la strada in caso di bombardamenti con danni), circondato da campi e da pace silenziosa, solo che a ritmi sempre più serrati passavano le "fortezze volanti" alleate a bombardare Verona e le linee di comunicazione verso il Brennero. Così arrivò anche il giorno finale e il CIELO di Bussolengo si riempì di aerei e nella cittadina passò l'ordine della resa, da ogni finestra, da ogni balcone dovevano apparire le lenzuola bianche della resa e anche mia madre dovette così rassegnarsi, la convinsero quelli che ci ospitavano, era veramente finita.

Intanto passavano i carriaggi che andavano a Nord, gli ordinati tedeschi lasciavano l'Italia ogni tanto con qualche piccola diversione tipo questa: la popolazione aveva invaso i magazzini dell'esercito a fare incetta di qualsiasi cosa potesse essere cibo, ricordo che per settimane mangiammo fette di patate secche e rammollite in acqua e anche una miscela di zucchero e sale raccolta a lato di sacchi rotti ci fece compagnia per più di qualche mese a colazione, accompagnando quelle patate rammollite e conserve di frutta. 

E fu anche così che per alcuni colleghi di mio padre che si erano prestati a dare un qualche ordine alla vicenda (non per bloccare ma per far sì che tutti potessero approfittarne impedendo eccessi utili solo ad accumulare roba per il mercato nero)  ci fu una classica motocarrozzetta tedesca che arrivò forse per caso e sbrigativamente risolse la questione, stendendo con il mitra proprio quei tre militi in divisa in volontario servizio d'ordine.

Per fortuna mio padre non c'era, mia madre gli aveva "ordinato" di prendere la bicicletta e tornare a Ravenna e consegnarsi direttamente al comando partigiano, visto che noi venivamo di là e, nella sua ingenuità, gli aveva anche affidato  tutti i risparmi (25 mila lire in buoni di guerra). E in effetti mio padre obbediente come sempre eseguì e se la cavò anche ragionevolmente con  qualche sberla, perse solo le 25 mila lire e si fece un po' di mesi chiuso in galera in affollata compagnia. Mia madre poi seppe evidentemente intercedere con il comandante tanto che si preoccupò di sistemare il sottoscritto, pieno di sfortune fisiche, in un collegio a Villa San Martino di Lugo dove crescere e studiare e trovò pure lavoro per mio padre, etc etc. (poi si trasferirono dai fratelli di mio padre a Trieste, ma questa è un 'altra storia).

Andò peggio per i colleghi e le colleghe di mio padre, erano venuti a prelevarli a Bussolengo con un paio di camion partiti da Ravenna, ma a Ravenna non arrivarono mai, li fermarono a riposarsi per sempre.




Questo post fa parte di un gioco di scrittura tra blogger su parole scelte a turno dai partecipanti. Parole e partecipanti li potete trovare sul blog "Verba Ludica", al link:   http://carbonaridellaparola.blogspot.it/