domenica 19 aprile 2015

18 APRILE 1948. IO C'ERO e non dormivo...

 


Già, io dall'ottobre 1947 ero in forza al Seminario Arcivescovile di Imola dopo i quasi due anni trascorsi nel collegio-ricovero per orfanelli di Villa San Martino di Lugo di Romagna dove ero arrivato grazie a un intrallazzo fra mia madre, orgogliosa moglie del Milite fascista Bruno Cremonini unico sopravvissuto della MVSN di Ravenna (gli altri, quasi un centinaio, erano spariti in un qualche bosco veneto nel viaggio organizzato dai partigiani di Ravenna che da Bussolengo li avrebbero dovuti portare a  casa) e il comandante partigiano della piazza di Ravenna. 

A un certo punto della quinta elementare avevo espresso il desiderio di "farmi prete" e così tutto era stato predisposto anche per l'intervento del parroco di San Prospero d'Imola, frazione dove abitavano nonni e zii paterni   coltivatori diretti, che aveva garantito delle mie qualità, così da poter essere accolto nel Seminario Diocesano di IMOLA (allora gli allievi, dalla prima media fino alla fine del corso dei teologi quindi un  totale 12 anni, erano circa 150). E ci dovevano essere state trattative piuttosto complesse perché, come anni dopo venni a sapere, mia madre aveva sostenuto: MEI MORT CHE PRIT (meglio morto che prete), da testarda laica e fascista e che aveva opinioni molto precise, nonostante la quarta elementare (che però era il massimo di scolarità del posto). Resta il fatto che mi avevano fatto fare tutte le cose in regola, esame d'ammissione alla prima media nella sessione autunnale a LUGO, regolare presentazione del Parroco di San Prospero di Imola (luogo di origine di mia madre e della sua famiglia composta dai nonni Geminiani e i 5 fratelli maschi, una giovanissima sorella, oltre alle relative mogli e figli e il tutto completato dalla tranquillità economica di famiglie di coltivatori diretti con sani principi rispettosi della Chiesa e i necessari annessi e connessi).
 
L'inserimento fisico era stato tranquillo, nonostante la modesta statura, il peso mini (28 chili vestito e con le scarpe) però con corretta divisa nera fatta di pantaloni lunghi, giacca a doppio petto con tutti i bottoni allacciati fino al collo e collo circondato dal rituale cerchio di celluloide, come un prete fatto e finito. Ma la atmosfera doveva essere carica, dal punto di vista politico, visto che, quando uscivamo per la solita passeggiata a Imola e dintorni, marciavamo ritmando ENGELS-MARX, tutti in fila per due con in testa i più piccoli e meno marziali, cioè io e ilTozzi, zoppo anche lui per i postumi di quella che allora si chiamava paralisi infantile.
 
Eravamo una bella coppia anche a giocare il calcio, io ovviamente in porta (tanto non c'era la traversa) e il Tozzi terzino per la sua abilità nell'infilare la sua gamba con il piede stortignato che si infilava avvitandosi in mezzo alle gambe avversarie. Quando si arrivò al gennaio-febbraio 1948 notammo alcuni cambiamenti, i filosofi (i tre anni di classico) e i teologi (4 anni para universitari) non erano quasi mai a cena o cenavano in borghese (dopo le tre medie tutti vestivano con la classica tonaca da prete di allora). Uscivano a girare anche per bar e osterie a fare propaganda anticomunista e democristiana.
E  fu così che si arrivò ai giorni delle elezioni e a livello nazionale vinsero i bravi e ortodossi cittadini e i KATTIVISSIMI ROSSI & KOMUNISTI furono battuti e la bandiera ritrovò i suoi 3 colori, ma non ovunque. Nelle regioni centrosettentrionali il FRONTE DEMOCRATICO POPOLARE TENNE.
 
 

 
 
 

mercoledì 15 aprile 2015

Italo Federico Goidanich, scherzi della memoria...

Succede a volte e non sai neppure perché, giravo a vuoto su Google e più per errore casuale che altro mi colpisce un finale di nome ...danich e poi leggo meglio, Goidanich...
 
Non so perché ma mi richiamano a cominciare da Pier Gabriele Goidanich, nato a Volosca nel 1868 e morto a Bologna nel 1953, istriano. Però non può essere, nel 1953 ero a ancora a Trieste e poi è un glottologo, addirittura un politico. Bocciato.
 
Però c'è anche un Gabriele Goidanich, può essere, è un entomologo, è possibile insegnasse a Botanica a Bologna. Ma ancora non mi convince. Quando ero con Ciusa (Walter) alla facoltà di Economia, Istituto di Merceologia, ogni tanto mi spediva a Botanica per consultare e, se era il caso, fotocopiare degli articoli. Me lo ricordo quell'Istituto: suonavo il campanello, il bidello-custode chiamava l'assistente, che mi portava dall'aiuto e poi andavamo dal Direttore a prendere la chiave della biblioteca, tornavamo dall'aiuto e assieme dall'assistente e con lui dal bidello. E finalmente noi ultimi due entravamo nella biblioteca, il bidello usciva, mi chiudeva a chiave dentro (quando ha finito suoni il campanello...). E infatti suonavo il campanello, riportavamo assieme la chiave secondo scala gerarchica anadata e ritorno e, finalmente, potevo riuscire con gli appunti ricopiati a mano e ritornare in facoltà con i preziosi risultati.
 
No, non poteva essere. Eppure questo Goidanich mi tormentava già da un'ora, me lo sentivo come di casa. Ci avevo parlato. Sommavo Trieste e Bologna, gli anni dovevano essere quelli, insisti  E così insisto fino a un probabile Goidanich, ortopedico. TOMBOLA, Italo Federico Goidanich, 1922-1966, Istituto Ortopedico Rizzoli, 1959. Rileggo ora perché mi avevano mandato da lui, giovanissimo, uno dei pochi al mondo che si occupavano (poi la specializzazione fu mescolata ad altre, leggo sempre ex-post) di strani tumori che si aggrappavano alle muscolature. Anche se il mio non era un tumore, era un guaio legato ai vari guai pre-natali che mi avevano portato a dover decidere di tagliare via un pezzo. Mi aveva visto l'anno prima, ci eravamo dati appuntamento per il giugno 1959. Un colloquio franco diretto, io in quel Rizzoli c'ero stato di casa nei primissimi anni di vita, avevano fatto anche una specie di innesto di un tendine animale perché il cordone ombelicale si era intorcilagliato un po' ovunque, ora amputando (come un pezzo dell'anulare mano destra) ora semplicemente stritolando come appunto sopra la caviglia destra.

Poi le difficoltà di circolazione e ricambio avevano portato alla necessità, forse, di tagliare e i due tre ricoveri all'anno per setticemia generale mi avevano convinto, BASTA! Goidanich, me lo vedo ancora, con tono fraterno, ma sei convinto? vogliamo riprovare? Ti rifaccio una specie di rinnovo plastico, stai a riposo... quanto? tre, sei mesi, un anno... No basta... Dopo? nessun problema posso tagliare comodo sul sano, giusto giusto per la protesi migliore...

Bene, sei convinto? Si... E allora do il via, analisi di routine, ci vediamo in sala operatoria fra tre giorni. Ciao. Avvisa tua madre... A proposito mi dicono dall'amministrazione che è già tutto a posto per la parte finanziaria, interviene la Cassa di Risparmio di Trieste, avverti i tuoi... Già, allora dopo i 18 anni, anche se studenti, la mutua per i figli di operai non c'era...

E così tre giorni dopo in sala operatoria e me lo ricordo, leggevo la lavagnetta della caposala, mancava una cosa, c'era anche il secondo dito del piede sinistro da togliere. era una specie di virgola che si arrabbiava ogni volta che mi mettevo la scarpa, meglio togliere anche quello.

PS: e pensare che pochi anni dopo concludeva lui, il Goidanich, la sua vita, giusto il tempo di scrivere nel 1959 un trattato che si usa ancora e dare il via a un centro scientifico...