lunedì 18 settembre 2017

1.1 LA MIA SCUOLA, quella antica...

Questo remember nasce da uno scambio di opinioni sul solito FB che era partito da un discorso sul  cosiddetto analfabetismo di ritorno e mi era stato chiesto che scuola avevo fatto io per avere opinioni così non troppo negative sulla scuola di oggi. E così mi è venuta la voglia di rileggere i miei percorsi scolastici che inevitabilmente risentono del profumo dei ricordi. Già perché i prossimi sono 81, e allora erano meno di 6.

Quel che va premesso è che la mia era una tipica famiglia fra una ragazza di estrazione contadina (scolarità, 4a elementare, allora il massimo per le zone non urbane) e un giovanotto vicino ai 30 in qualche modo vissuto presso degli zii medio alti senza una professione definita e una scolarità diremmo oggi da media inferiore. Questa famiglia si era formata sotto l'urgenza del mio arrivo nell' agosto del '36 e con arrivo mio previsto per il febbraio, poi concretamente anticipato all'inizio di dicembre. Mio padre intanto (uno stipendio pur ci voleva) era entrato nella MVSN (320 lire/mese) ed aveva trovato un appartamento a Ravenna, case popolari di Via Fiume, allora fine città confinante con la campagna, camera, cucinasoggiorno (per il pupo) e cesso interno privato, affitto 130 lit/mese. E un orticello privato, uno per ogni condomino, confinante con tutta la serie di cortili comunicanti fra loro.

Nasce così la nuova famiglia, complicata dalle diffuse anomalie fisiche del neonato, in un ambiente totalmente diverso dalle origini. Si passa infatti dalla quasi tribù autoctona di San Prospero di Imola (praticamente unici acquisti alimentari fuori casa erano il sale e la cane di manzo, il magro per il ragù) a una situazione polifonica condominiale così che se starnutisci in dieci ti dicono SALUTE!

Ma tornìamo alla scuola... E io cominciai a leggere prima della PRIMA, mia madre curiosa di sentirsi cittadina e con la scusa del figlioletto cominciò a comprare Il Corriere dei Piccoli e assieme io imparai a leggere e mia madre passò con più sicurezza dal romagnolo all' italiano  "normale", e questo anche perché il dialetto "imolese" denunciava chiaramente  l' origine non RAVEGNANA della persona. Ma ormai eravamo nel '42, mio padre stava per partire per la campagna di Russia e intanto era nato anche il fratellino ITALO (1940), la casa così era piccola e mia madre trasferì i suoi pupi nella casa paterna che intanto eran diventate due, in una tre fratelli Geminiani e nell'altra (MADUNO), a pochi km nell'ansa del Santerno, i due fratelli più grandi e più esperti. Così Italo andò a Maduno e io alla Caranta, perché era più vicina alla scuola elementare.

Già, la scuola elementare nel centro della frazione, costruita non da molto dal regime secondo uno schema architettonico omogeneo in tutta Italia che portava l' Istruzione di Base ovunque e i cui edifici non più utilizzati sono ancora lì spesso ormai isolati però indistrutti e indistruttibili, come molte delle Case Cantoniere. Ma la scuola elementare aveva
un personaggio importante la Maestra Speranza, tale di nome e di fatto. Non c'erano i numeri per fare tante classi ed eravamo misti, uscivamo dalle singole corti e a piedi andavamo alla scuola, quasi 2 km di scherzi, burle, chiasso, prese in giro dei più grandi. Nei mesi freddi in aggiunta il pacchetto con la legna da ardere per la stufa di mattoni dell'aula. Poi capitava che nel freddo dell' inverno si formasse uno strato di ghiaccio sulla superficie de " e CANALAZZ" e inevitabilmente qualcuno di noi provasse a slittare sopra con gli zoccoli e, altrettanto inevitabilmente, il ghiaccio cedesse...

Furono quasi due anni di scuola serena, condivisa e di crescita. Quella maestra, e forse tutte quelle maestre, sentivano la loro missione come vera e importante, ed erano forse ancor più importanti dell'altra fonte di potere, l' Arciprete, che dominava i tetti con il suo campanile, ma la maestra portava il sapere laico nonostante, o forse proprio per questo, il preteso dominio fascista. Già perché il piccolo centro abitato era quello dei braccianti di storiche simpatie socialiste e al momento in fase di incertezza.

E poi il mondo politico e guerresco si modificò, mio padre tornò (qualche cento km a piedi ma vivo), naturalmente scelse, col senno di poi, un orizzonte diverso ed emigrammo a Nord, in quel di BUSSOLENGO, praticamente andare a scuola era l' ultimo dei problemi e la terza elementare  non ebbe un andamento normale, fu frammentata un po' a San Prospero, poi Ravenna e alla fine Bussolengo. Poi  la IV iniziata a Bussolengo  si concluse a Ravenna, era già l' aprile del '45, durò qualche mese condotto in allegria, me lo ri-raccontò una mia
compagna di classe in un incontro casuale durante le prove di laurea nel 61/62 in Chimica Industriale a Bologna. Mi guardò e poi con la sua voce squillante e la cadenza ravegnana urlò MA TE A SIT BENITO? Già ero io, sì eravamo assieme a Ravenna in via Tommaso Gulli, e avanti con i ricordi in mezzo ai colleghi ventenni e cittadini  come quella volta che avevo infilati il medio della mano sinistra in un buco del sottobanco e al suono della campanella non voleva più uscire... Dovettero  chiamare qualcuno per liberarmi a forza di punteruoli e attrezzi simili.

Per la quinta ancora non lo sapevo ma era stato previsto che grazie alle manovre di mia madre sarei andato in collegio a Villa San Martino di Lugo. Già finita nell'aprile la guerra mia madre costrinse mio padre a prendere la bicicletta e andarsene da Bussolengo a Ravenna così da consegnarsi al comando partigiano di Ravenna. Ci andò in bicicletta e tutto andò bene, l'unico errore fu di mia madre che gli consegnò i buoni di stato a suo tempo pagati e quelli assieme alla bicicletta, un po' di pugnoni e qualche livido fu l'unico danno prima di mandarlo a casa dopo qualche mese. Mia madre e il comandante partigiano avevano raggiunto un' intesa. Andò peggio per i colleghi di mio padre, andarono a prenderli con due corriere a Bussolengo per portarli a Ravenna poi sbagliarono strada e dalle parti di Treviso li massacrarono tutti...



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