domenica 5 novembre 2017

STORIA di un chimico sub-normale 1,2 . Si arranca

E ormai bisogna nuotare nella conoscenza, le chiacchiere e le impressioni non possono essere un gioco, ci sono regole, tempi, controlli e persino ambienti. Già eran cominciate le "superiori" e mia madre aveva deciso per me visto che dopo l' uscita dal Seminario non avevo alcuna idea al riguardo, anzi, mi beavo del mio successo, dopo l'incontro-scontro con la realtà.

Il parroco di San Prospero aveva chiamato mio zio CANXI e gli aveva raccontato quel che era successo, unito al suo personale disappunto, e c'era da capirlo, aveva infatti insistito con i monsignori perché mi accettassero "gratuitamente" ed era stato fortunato, perché avevo avuto un certo successo nella schola cantorum. Già ormai eravamo "di successo", infatti oltre ad esibirci nella cattedrale di Imola dedicata a San Cassiano eravamo abitualmente richiesti anche da molti parroci in occasioni speciali di matrimoni, funerali particolari, anniversari. E in questo ero stato fortunato, sembra infatti che io avessi un' ottima impostazione di voce SOPRANILE, voce "bianca" ovviamente, tanto da esser diventato il capetto della mia sezione di voci bianche. Oddio, stavo cominciando a franare, nel Natale 1949 avevano preparato tutto per una registrazione  importante e nonostante fossi esile e mingherlino (28 kg!) e come età avessi compiuto solo 13 anni a dicembre nell' acuto del Scendi dalle Stelle avevo steccato quasi fossi già baritono. Gli addetti c'eran rimasti piuttosto male, però poi ci sono riuscito nel rimpallo con qualche mezza tonalità in meno.

Altro fattore importante di solito ero generalmente disciplinato, fatto questo che va tenuto ben presente, l'ordine e la disciplina sono (erano) virtù fondamentali nei collegi e simili. E non era per caso, nel collegio precedente regnava una disciplina ferrea (c'era persino una cella con tanto di grata e cancello) e se interrompevi i silenzi durante i pasti arrivava l'assistente, allungavi la mano con il dorso ben in vista e ti arrivava violento il taglio di un righello che lasciava il segno. Poi c'erano le versioni da camerata, per le mancanze altre, e allora decine di flessioni ben ritmate per decine di minuti con le ginocchia sottoposte a un ritmo da ballo incalzante (una volta per la tensione riempii le mutande più volte...). E, per un risultato sicuro, non mancavano anche le punizioni collettive del tipo tutti in fila a bordo campo da calcio sull' attenti sotto il sole estivo e guai a muoversi pe 2  o 3 ore.

In Seminario invece come castigo c'era solo il "silenzio" che poteva durare anche giorni e così eri come uno zombi negli intervalli delle lezioni. Durante i riposi vai con i compagni a stuzzicare e provocare e se rompevi il silenzio il tutto veniva  ovviamente prolungato. Del resto non dimentichiamo che, prima ancora, la disciplina faceva parte della spartana educazione casalinga, mia madre (a parte gli scapaccioni) mi metteva in ginocchio sui granelli di granturco o, qualche volta, su  quei chiodini da calzolaio chiamati sementi e una volta riuscì persino a convincere quel buon uomo di mio padre a darmi un po' di cinghiate con il cinturone della divisa, me lo ricordo ancora, povero babbo, era appena arrivato in casa lì in via FIUME a Ravenna e, ancora sulla porta prima di entrare e togliersi la divisa, l'aveva convinto, solo che riuscì a farmi  a malapena una specie di carezza di cuoio spento. Povero BABBO.

Tornando all' incontro in parrocchia, mio zio ovviamente doveva avvertire mia  madre della novità, naturalmente, per lettera (il telefono arrivò qualche anno dopo). Mia madre però doveva aver avvertito già qualcosa, insisteva a  chiedermi come mai il "permesso" fosse così lungo e quando DOVEVO tornare a Imola e io ovviamente divagavo in vario modo e raccontavo di lavori nella sede estiva là sui calanchi fuori Imola e altre simili robe. Poi la lettera arrivò e così  capitò il giorno giusto:  era pomeriggio ed ero tornato a casa dopo essere andato per botteghe a comprare le solite fettine di cavallo, le "bighe" triestine dal panettiere e il latte e uova dal lattaio, così tranquillo suonai il campanello e mia madre aprì e... mi mollò due sonori smatafloni (e per fortuna le uova non caddero e tutto il resto era a prova di caduta).

I giorni successivi furono per mia madre un tormentone continuo, un po' preoccupata per le mie condizioni fisiche inidonee a lavori di fatica, un po' perché un figlio prete (anche se lei i preti non li amava e anni dopo capii perché...) era pur sempre un passaggio sociale e ci aveva fatto i suoi  pensieri seri e alla fine a forza di pensieri, ragionamenti con amiche, decise che DOVEVO andare al liceo scientifico (l' Oberdan di Trieste) la cui sede in via Paolo Veronese era a portata anche dei miei piedi, da via Parini 4. Scelta intelligente, aveva solo dimenticato i punti scoperti in alto con la "bora" a 80-100 km/ora ma la affrontavo con orgoglio e spavalderia nonostante il fisico minuto  che intanto recuperò velocemente in altezza, ma non a sufficienza ... in classe gli indigeni, i triestini (e persino le ragazze!) non erano dei tappi italioti! 

sabato 4 novembre 2017

storia di un CHIMICO sub-normale 1.1 premessa.

Non avevo mai sentito parlare di chimica, ma all' epoca era un qualcosa di misterioso, in qualche modo legata ai medicinali come quelli che si usavano in agricoltura. Del resto non potevo non saperlo, venivo dal mondo contadino romagnolo per via di madre e spesso avevo passato lunghi periodi, specie d'estate, lì a San Prospero di Imola in via Lughese 35 e anche nell' altra casa, quella del 1930,  in via Maduno.

In via Lughese nonno Fita (Giuseppe) e nonna Iusfina (Giuseppina) c'erano arrivati sposi novelli proprio all' inizio del secolo e con loro abitavano anche i fratelli minori del mio futuro nonno, Celso e Giovanni (Gianò). Celso poi un po' di anni dopo mise su famiglia e andò a stare in un podere vicino. Gianò invece rimase eternamente scapolo e diventò ZIOHN! (termine con il quale si sottolineava che oltre che zio era, appunto, scapolo, senza famiglia propria). Questa condizione gli permise poi indirettamente di essere il riferimento di tutti noi nipoti più o meno conviventi.

Ma questa premessa cosa c'entra? C'entra perché proprio nelle prime decine di anni del secolo scorso era partita la rivoluzione chimica, prima con i concimi e poi con i trattamenti, come venivano chiamati quelle irrorazioni con la pompa a spalla alle viti, e ad altre specie arboree, contro infestanti anche se facevano privilegio i trattamenti con SOLFATO di RAME e simili.

Già le viti, l' uva, il vino all'epoca, ma anche poi, erano la principale fonte di reddito e alla CARANTA (il nome del podere di via Lughese 35) i CIARAVAL (soprannome dei Geminiani arrivati a San Prospero) tutto questo soprattutto curavano. Gianò in particolare si occupava della cantina aiutato qualche 10 anni dopo da Ernesto  (nome e soprannome coincidevano, visto che era insolito). Altro per gli altri figli come Domenico che diventò Minghì, Arcangelo trasformato in Canxì, mentre Primo e Lino restarono tali. Come poi accadde per Valda (come le pastiglie, amava dire quella che poi sarebbe stata mia madre, poveretta lei!) e Carolina, ultima nata dopo parecchi anni, probabilmente in seguito a una qualche distrazione. E meno male, nata nel 1923 e io nel 1936 fu sempre la mia adorata zia quasi sorellina e più che vice-madre in molte occasioni.

Ma non è questo l' argomento, visto che dovrei aver scelto di parlare di chimica e del futuro Benito e la chimica arriverà solo qualche anno dopo. Intanto c'era stata la guerra, io avevo finito il collegio (dei rifugiati e abbandonati di Villa San Martino di Lugo), poi avevo deciso di volermi far prete e quindi c'eran stati tre anni (1947-1950) di crescita on solo fisica nel Seminario arcivescovile di Imola. Accadde poi che io cambiai opinione, proprio quando mia madre aveva alla fine accettata l' idea di un futuro prete in casa, e così lasciai Imola per andare a Trieste, dove i miei si erano trasferiti da Ravenna, richiamati dai fratelli di mio padre che a Trieste c'erano da sempre e lì tutti e tre erano nati.

Era una storia complicata, l'altro mio nonno (Augusto) veniva da Dozza Imolese (oggi una questione di minuti, allora a piedi un paio d'ore, una decina di chilometri) e siccome era vivace e pure anarchico era dovuto scappare per evitare i caramba ed era finito a Trieste, allora città in piena espansione economica molto ospitale e ben controllata. Dopo un po' si era ambientato, fatto figli e pure sposato ma per i travagli bellici era dovuto tornare a Imola per evitare l' internamento. Naturalmente finita la guerra tutta la tribù era tornata a Trieste (moglie Klopcich e i due figli Giordano e Hugo) lasciando però a San Prospero, dalla sorella, il primogenito Bruno che poi sarà mio padre). La sorella, oltre ad essere "maritata" con un buon partito, era un personaggio importante nella realtà contadina per la sua funzione di "levatrice", termine comune allora per le ostetriche, e quindi a contatto con la parte femminile della comunità, tanto più con il sorgere dell' ONMI Opera Nazionale Maternita' e Infanzia.

E la chimica? la chimica è lì che arriva... In casa nostra, a Trieste via Parini 4, dove lasciato il Seminario ero arrivato nel 1950, venivano a pranzo (mia madre cucinava per loro così arrotondava) due simpatici coniugi, Ada e Carlo e il Carlo lavorava ad Aquilinia dove c'era una grande raffineria (Aquila, poi Total). Questo per il ragazzino di allora era una immagine grandiosa, specie se lo collegavo ai discorsi che Carlo faceva sulla sua prigionia in Australia (catturato in Africa). Così ai discorsi uniti  alle immagini mentali delle fattorie australiane in mano alle "padrone" (i maschi in guerra), questo mondo di petroliere, torri di raffinazione, serbatoi era quasi benzina incendiata su un mondo di sogno futuro. C'ero pure andato lì vicino a sbirciare, a forza di autobus e corriere, ed era tutto affascinante e fantasioso.

Poi c'era anche qualcosa di stimolante nell' ADA, così giovane e adulta per i miei pensieri di adolescente. Tanto più che dopo pranzato spesso andavano a riposare nel lettone dei miei (l'appartamento al secondo piano era minimo, la cucina con balcone sul cortiletto interno, poi la camera da letto con una stufona in ceramica solenne e un letto supplementare per il grande, cioè io (mio fratello Italo, di 4 anni in meno, dormiva in uno stanzino che prendeva luce indiretta dalla cucina). 

E, a parte la chimica, la compresenza femminile era così entusiasmante che un giorno le mie mani esagerarono, tanto che poi mi ritrovai tutto insanguinato e solo la saggezza di mia madre mi risparmiò di sprofondare...