mercoledì 23 maggio 2018

ITALIA 1915. Ricordi da un vecchio blog.

Ritrovo un vecchio blog che mi pare in questa data utile ricordare, anche se forse non è più di moda. O forse sono io a pensare vecchio. Comunque metto il LINK e …

                                                
buona lettura.


domenica 20 maggio 2018

Storia di un Chimico sub normale ... 6.0 si gioca agli eroi...


All' inizio del IV anno ormai sembravamo assestati, i singoli tic dei prof erano stati individuati ed assorbiti, anche la mia  parlata assomigliava in qualche modo a quella dei nativi, compreso il termine ricorrente e per me non noto e che in fondo era il solito uso che si fa nei dialetti di una ben precisa parte anatomica che nel mondo della Romagna è indicato come pataca che assume il significato (rivolto ai maschi) di presuntuoso, idiota, fanfarone e via raccontando. Il mona triestino calca più l' accento nella direzione di povero scemo, credi a tutto e via raccontando quasi a sottolineare la situazione quasi subalterna del maschio nel normale andamento della vita. Del resto nel mio poco girare in Croazia e Slovenia mi son reso conto dell' importanza non solo familiare del personaggio femmina in quelle società sia nel mondo agricolo che nel mondo operaio.

Ancora in quegli anni (adesso non so…) il fattore alcool nel mondo operaio subalterno era terribile e, come forse ho già più volte ricordato, diventava ancor più determinante il SABATO, giorno di paga, un sabato l' acconto, quello successivo il saldo con le mogli o le figlie a presentarsi per ritirare la busta. Il tragitto verso casa era troppo ricco di tentazioni che finivano spesso in MUSICA Per fortuna non era il rischio di mio padre Già abbondantemente vaccinato dal dominio della Valda, mia madre.

Ma torniamo al vissuto, c'erano fremiti in giro, 11 anni di occupazione militare anglo-americana cominciavano a pesare, l' evidente compiacenza degli inglesi verso la zona B sotto amministrazione Yugoslava di TITO irritava non poco, ma entrava anche in gioco il largo spazio che il Governo italiano dava a Genova e Venezia per i porti e le industrie collegate. In questo modo entravano in sintonia gli operai, gli operatori economici e, ovviamente, la parte STUDENTI molto sensibili ai richiami considerati di "destra". Bisogna anche aggiungere l' afflusso di esuli "istriano-dalmati", molto coccolati dalla Chiesa di Monsignor Santin e dal Sindaco Gianni Bartoli (soprannonimato Gianni Lagrima, per il continuo piagnare sugli esuli, destinatari di aiuti e facilitazioni che venivano viste eccessive). Tutti fattori, anche se fra loro contrastanti, che in qualche modo attraversavano la generalità cittadina dell' epoca, senza dimenticare il "martirio" del Cardinal Stepinac di cui si preferiva non ricordare la cordialità verso gli USTASCIA di ANTE PAVELIC, signore e padrone della CROAZIA  ricamando sul suo essere imprigionato dal TITO, causa ovviamente di tutti i mali.

Cominciò così una serie di manifestazioni fra studenti, in prima linea noi dello OBERDAN e quelli del NAUTICO che facevamo a gara nell' organizzare gli scioperi entrando dalle finestre basse, opportunamente lasciate aperte, per aprire le porte delle  aule con il tacito consenso delle autorità. A questo riguardo mi vien in mente quella volta che c'ero anch'io fra gli EROI e mentre stavamo complimentandoci per essere riusciti a far uscire tutti (avevamo fatto scioperare anche quelli del Classico Petrarca e i futuri Ragionieri del Carli) arrivò il preside, alto quanto Vittorrio Emanuele III, con la pipa in mano e, bofonchiando, ci chiamò per nome uno per uno concludendo tranquillamente: e ADESSO IN AULA. 

E noi entrammo … (e quando ci penso rileggo "e l'infame sorrise" con De Amicis).

E per oggi fermiamoci qua, nessuno ancora era morto...

lunedì 14 maggio 2018

Storia di un Chimico sub-normale... Verso la maturità 1.5 bis

Nella puntata precedente mi accorgo di avere divagato, mi succede spesso quando parlo di San Prospero, della casa con la grande famiglia operosa con i nonni, i 5 fratelli, le relative mogli e poi i figli. Veramente prevalevano le femmine 4 a 1 e, a parte la Flaviana, mia coetanea, anzi lei di gennaio e io di dicembre, ma l' anno era sempre lo stesso, 1936, quello dell' Impero...

Ma torniamo a Trieste, il biennio era finito e nel 1952 basta con le scale, ciao a Via Besenghi, con il grande giardino, si andava in San Nicolò, due passi da casa in via Parini. Una passeggiata, anche quando tirava la BORA. Già la Bora, quel pazzo vento che quando ci si mette comanda lui specie negli spazi aperti come appena usciti di casa in Via Parini 4 e poco dopo l' imbocco della Via Vidali... Nei giorni di Bora si stendono le catene per aggrapparsi e meno male che nei giorni di disegno non usiamo più "el tabellon" (che con la bora fa vela) con la sua brava riga a martello e si disegna di rado, oramai parliamo solo di architettura. Discorsi alti.

C' è infatti da sottolineare che non volevamo essere confusi con i geomentri, tutta altra roba, non per niente siamo LICEALI!!! Tornando poi a quella specifica materia, meno male e per fortuna che al biennio avevamo avuto un brillantissimo docente in quella materia, materia che in pratica dovrebbe essere propedeutica e di supporto per future lauree, nel peggiore dei casi, di tipico ingegneristico e simili, anche se noi dello scientifico siamo anche "più meglio" di quelli del CLASSICO

C' era anche una altra particolarità ed era che Il docente era di origine ebraica (e non era l' unico fra i nostri prof), e sopravvissuto  agli eventi della guerra. Trieste, infatti,
su questo aspetto ha avuto una storia molto particolare, ad esempio non esisteva il ghetto,  molti di quella comunità erano fin dall' inizio del secolo di sentimenti nazionalisti filo italiani e dal punto di vista economico erano molto presenti nei commerci con il vicino oriente. E tutto questo per sottolineare la semplicità e cordialità dei rapporti con quel particolare prof, anche sapendo che l'atteggiamento politico più diffuso, allora ma anche adesso, sarebbe definibile di "destra", nel senso nazionalista del termine e senza particolare differenze con i sentimenti diffusi anche nel mondo operaio. E io avevo una conoscenza diretta tramite lo zio Giordano che era responsabile PCI in una delle grosse fabbriche triestine e, per dirla in dialetto con la lingua parlata, quelli di là del confine antico erano chiamati appunto con il temine antico "sciavi", come da antica tradizione dei territori contigui istriani e dalmati. Attenti però i triestini non si sentono però assimilabili agli ISTRIANI, troppo lontana la tradizione veneta per non parlare del dialetto, così diverso se ci vivi in mezzo.

Divagando, divagando sarà bene parlare della realtà di questo nuovo prof di "disegno e architettura" visto che adesso al terzo anno c'era un docente un po' particolare intanto per la sua storia personale, aveva alcuni inconvenienti fisici che lo rendevano poco operativo non potendo usare un braccio e poi, soprattutto, un carattere che un po' se le attirava le CATTIVERIE. In questa materia ci sono tutte le filastrocche sugli stili che si succedono negli anni, in classe, e nei secoli, nella storia. E così noi introducevamo l' argomento (ad esempio io con la macchina da scrivere comprata di decima mano)  incollando il relativo testo sul retro di un foglio dell' album e sulla facciata dell' altro foglio, a mano più o meno libera, disegnando alcuni particolari tipici dell' argomento. Il prof naturalmente leggeva, vistava e (molto ogni tanto) chiedeva e gli studenti sono tremendi e poteva succedere poi che qualcuno della classe successiva ereditasse il tuo album, con la scolorina si toglieva la sigla del prof preesistente e così il prof risiglava, senza accorgersene, quello che in teoria avrebbe potuto e dovuto riconoscere. E il mio album, fra i peggiori, girava ancora  quando ormai chiudevo il quinto anno.

Tutt' altri discorsi in storia e filosofia, il docente era segretario di uno dei partiti socialisti, un uomo buono e molto intelligente che spaziava ben al di là della sua materia e, almeno io, lo seguivo con molta attenzione e interesse, forse anche per le esperienze dirette e indirette di vita. Il tono complessivo era, con tutti i prof, fortemente "italiano", probabilmente accentuato dal fatto che eravamo ancora "territorio libero"e quindi ci sentivamo SOTTO OCCUPAZIONE MILITARE. 

C'è un particolare che vale la pena sottolineare (non so se vale ancora oggi) in aula si DOVEVA parlare in "lingua" ma nei corridoi, suonata la campanella, parlavamo tutti in dialetto non solo tra di noi, ma anche con i prof.

Resta il fatto che l' allievo Benito era di nuovo in primo banco, sotto la finestra a sinistra guardando la cattedra, Pillinini aveva cambiato scuola e i prof non sbagliavano più nel chiamarmi e il mio compagno di banco era il figlio di una catena di gelati PIPOLO. Persona splendida e, scoperto per caso qualche anno dopo, avrà una carriera importante come musicista e non solo. Ma ormai i mesi camminano il terzo anno finisce, poi arriverà l' estate e il novembre del 1953 è li che aspetta e il Cremonini ancora non lo sa, saranno giorni importanti...


domenica 13 maggio 2018

MIO PADRE...ricordi di GUERRA ... 5. Si torna in POCHI.

Ormai tutto sembrava concluso, la partita era chiusa, quelli con la camicia di colore nero avevano perso, i vincitori stranieri erano arrivati a sostituire quegli altri stranieri che erano tornati a casa loro, si parlava dell' arrivo di quegli italiani che da tempo si erano impegnati contro i perdenti e quindi rappresentavano la NUOVA ITALIA. In effetti correvano delle voci contrastanti che parlavano dell' arrivo di un gruppo partigiano dal ravennate al comando di un certo BULOW impegnato nella cattura degli avanzi militari e no della R.S.I. e che stava rastrellando tutto il territorio. Altri invece dicevano che era in atto una specie di tregua e si invitava i perdenti a consegnarsi ai sindaci dei territori man mano liberati.

Fu così che mia madre, forse anche dopo i suggerimenti dell' ufficiale italo-americano ospite vicino a noi, "ordinò" a mio padre di mettersi in borghese, prendere la bicicletta e andarsi a consegnare al comando partigiano di Ravenna. In fondo erano circa 200 km di strade basse non coinvolte e passando per il basso veneto e il basso ferrarese, arrivando a Ravenna attraverso le valli 15/20 ore di pedalata non era certo impossibile a non ancora 40 anni. E poi già mio padre aveva fatto centinaia di km durante il ritiro dalla Russia (con i camion tedeschi, che non volevano fra i piedi gli italiani) e quasi sempre a piedi e quindi aveva l'esperienza e il giusto buon senso anche per questa avventura.

L' unico vero errore di mia madre fu di affidare a mio padre i "valori" consistenti in quel po' di ori tradizionali di famiglia e, soprattutto, le cartelle dei prestiti di guerra, unico vero tesoro.  Alla fine mio padre arrivò a Ravenna, si consegnò al Comando Partigiano insediato, pagò non ufficialmente il giusto pegno (la bicicletta e i "valori"), si prese anche il giusto complimento dai vincitori senza particolari inconvenienti a parte un po' di lividi qua e là. Comunque fu rinchiuso e i lividi in qualche settimana scomparvero.

Non furono così fortunati i suoi compagni, anzi, scusate, i suoi CAMERATI. Erano infatti arrivati alcuni Pullman proprio dalle Romagne (proprio come si diceva) e presero in carico gli ausiliari e le ausiliarie, tutte persone che a Ravenna e dintorni non arrivarono mai. Inevitabile conclusione di quella che era stata non solo guerra di liberazione ma anche guerra civile con tutti gli eccessi largamente raccontati. Stranezza vuole che a capo di questa "raccolta dati" ci fosse una persona ben nota fra i futuri condannati, per il semplice motivo che era stato uno dei loro e di grado elevato. Almeno così raccontarono alcuni dei sopravvissuti..

Di certo c' è quello che è stato ufficialmente rilevato e che va sotto il nome di eccidio di Codevigo e fra di loro (136) c'era anche il CALDERONI LUIGI anni 50 GNR ...

Poi per fortuna il tempo cammina e da bambino il  mio ricordo più vivido di Bussolengo fu una vetrina del Natale precedente, 1944, con un calesse in miniatura (si fa per dire, nel senso a misura di bimbo, nel sedile ci saremmo stati in due seduti) trainato da un somarello tutto agghindato, comprese le sonagliere e con una pedaliera per farlo muovere.

Ma torniamo al vissuto quotidiano, tornati a Ravenna l' appartamento "nostro" delle case popolari di via Fiume era stato occupato da altri, il mio amichetto ADOLFO adesso si chiamava PINO, mentre c'era ancora la TIZIANA, la calzettaia (nel senso che in casa "produceva" tessuti a maglia di ogni tipo grazie ad un macchinario adatto e una notevole capacità professionale), e, importante, sua figlia un paio d'anni meno di me ma carina carina. 

Essendo senza casa ci ospitò la NATALINA, una amica di mia madre con due figli già grandi (ALDO e LIA) di padri diversi ma molto dinamica e attiva.  Il marito della Natalina era proprio il Calderoni e la LIA era sua figlia. E la Lia fu  anche il mio primo vero grande amore, avevo nemmeno 9 anni e lei 15/16, era sempre piena di amici con cui usciva anche la sera e tornava tardi... La rividi anni dopo, io avevo più di 20 anni, lei aveva due bimbi, era sempre la mia Lia che mi coccolava anche se c'era come una luce malinconica nei suoi occhi e si rannicchiò tutta contro di me e restammo così molti 10 minuti, chissà forse le avevo ricordato il violino e la voce di suo padre...

Ma la vita continuava, mia madre aveva stabilito un contatto con il comandante partigiano di Ravenna, decisero assieme che per il "mio bene" io sarei andato in collegio a Villa San Martino di Lugo, punto di raccolta di ragazzi "spaesati" di età fra poco più di sei e meno di 25 e di solito senza genitori. Evidentemente qualcosa s'erano detti e capiti quei due ufficialmente lontani per storia politica ma vicini nel vivere comune.

Mio  padre era stato dimesso e, anzi, sempre quel comandante gli aveva trovato un lavoro come sorvegliante notturno in una azienda, "armato"! A mia madre non piaceva l' idea, poteva essere pericoloso e prese contatto con Trieste, dove c'erano Hugo e Giordano (i fratelli più giovani) con le loro famiglie. Fu così che si prepararono al trasloco e a dare addio alla Romagna, affrontando una nuova vita dopo aver messo al sicuro il figliolo più grande, e fisicamente sfortunato, nel collegio dei trovatelli. E il Benito? Il Benito ne aveva di storie ancora da raccontare a cominciare ad esempio dalla Domenica.

Già, la domenica... Alle 8 avevo l' incarico di consegnare l' UNITA' in zona casa per casa (come compenso ingresso gratuito alle 17 alla Casa del Popolo con musica e ballo). Alle dieci servire la messa in Parrocchia, in 5 attorno all' altare, in cambio una buona merenda e il biglietto per il teatrino dei preti alle 15: c'era la commedia. Ma anche durante la settimana c'era da fare, ma il soggetto era mio padre.

E poi c'erano gli amici del cortile, ero stato promosso, adesso facevo parte della "guardia" che sovrintendeva all' ordine di ben due cortili, c'era un capo, il suo fratello "tonto" (era caduto su uno spigolo di marciapiede, s'era spaccato il cranio. C'erano tre cicatrici bianche, una specie di grande Y, i più vecchietti del cortile sostenevano che fosse SCEMO, dalla nascita.... 

MIO PADRE, anzi IL BABBO? ... Lo riincontrerò a quasi 14 anni, finite le elementari in collegio e tre anni in Seminario (perché  mi piaceva l' idea di fare il prete), sembra che mia madre avesse detto MEI MORT CHE PRITT...


domenica 6 maggio 2018

MIO PADRE... ricordi di GUERRA...4. Ancora Bussolengo

La casa che ci ospitava era proprio quasi sulla strada principale d'accesso e la famiglia proprietaria di quel blocco di stanze era molto disponibile, anche perché anche altri locali dello stesso blocco erano impegnati per motivi militari. Vi erano infatti alcuni locali, che accoglievano il gruppo di militi ravennati, adibiti a sala di ristoro (mensa & C.) e, in emergenza, come vere e proprio stanze da riposo anche notturno. Più di qualcuno li conoscevo, specie fra i ragazzi sui 20 anni, e soprattutto il Calderoni che a Ravenna abitava nello stesso blocco di case popolari in casa della Natalina e con loro Aldo, figlio della Natalina, e la LIA (figlia anche del Calderoni) quasi una mia sorellona sui 14/15 anni che spesso mi proteggeva da mia madre quando esagerava nei suoi rimproveri maneschi.

Mia madre si occupava della cucina e così anche Italo, mio fratello non ancora 5 anni, aveva lo spazio protetto dove muoversi liberamente. Ma il divertimento era la sera quando finita la cena e sgomberato i tavoli il Calderoni prendeva il violino e altri due dei ragazzi intervenivano con chitarra e fisarmonica  rendere meno malinconici  i suoni. Durante la giornata erano di pattuglia e penso che a volte non fossero interventi tranquilli anche se non ricordo ci fosse una atmosfera cupa o irosa. Di divertente, impressione di bimbo, c'era anche il servizio che assieme a nostra madre facevamo lungo lo stradone di accesso alla cittadina, stazionavamo in un punto in vista dell' Adige per bloccare la strada al traffico se dovevano passare mezzi militari o fosse scattato l' allarme aereo o ci fosse in giro il solito Pippo pronto a rompere le scatole con una qualche bombetta o, ma di rado, con una mitragliatina qua e là. Ma il più delle volte si era semplicemente lì a respirare all' aria aperta.

C'erano luoghi apparentemente tranquilli ma a volte più pericolosi, come appunto il piazzale davanti alla Chiesa Parrocchiale che era diventato di abituale disponiblità per noi ragazzini, a due passi dai genitori, senza traffico, al massimo qualche bicicletta o carretti trainati da cavallucci o, più spesso, somarini. Ebbene proprio questo piazzale venne piuttosto spesso arricchito di oggetti luccicosi o appetitosi (similcaramelle o cioccolalini), piovuti dal cielo, evidentemente con l' unico scopo di essere presi in mano e spesso esplodere. Non c'erano stati morti, ma qualche pezzo di mano, braccia o di viso era stato portato via da quegli esplodenti LIBERATORI...

Ma l'orologio e il calendario camminavano ormai era l' aprile del 1945 e una sera cominciarono a  passare camionette e motociclette con sopra militari tedeschi e anche polacchi diretti a Nord. Era anche aumentato il ritmo dei bombardamenti diretti sopra Verona, scintillavano là in alto le fortezze volanti sotto il sole di giorno o brillavano le luci dei bengala negli interventi notturni. Passavamo ore di giorno verso Pescantina, all' ombra degli ulivi così folti da quelle parti, a guardare le colonne di fumo e ascoltare il rumore delle bombe attenuato un po' dalla distanza. Eravamo tranquilli, su di noi certamente non sarebbero arrivati, ma i paesani avevano capito che si era alla fine e allora pensarono di provvedere a qualcosa per sé...

C' era infatti non lontano da noi un grosso deposito a sussidio delle varie forze armate italiane e, soprattutto, tedesche ed era piantonato da militari italiani (alcuni colleghi di mio padre) e le persone cominciarono ad affollarsi li attorno finché i militari alzarono le sbarre e le persone entrarono liberamente a rifornirsi. Sfortuna volle che ci fossero ancora in giro le code dell' armata tedesca così quando arrivarono sul posto gli ultimi motociclisti pensarono bene di aprire il fuoco a mitraglia e poi se ne andarono. I primi a cadere morti furono le due coppie di colleghi di mio padre, che in qualche modo avevano tentato di fermare i motociclisti per evitare una strage.

Questo fatto colpì molto e ce lo ricordammo per un pezzo perché nella furia dell' arrembaggio ad approvvigionarsi si erano rotti dei sacchi e neanche a farlo apposta si erano mescolati fra loro zucchero e sale (quello fino) e per molti mesi in casa il caffelatte era caratterizzato dall' abbinamento dei due sapori e la scorta era stata di parecchi chilogrammi. Per non parlare della frutta e delle  fette di patate secche, tutta roba non certo adorata dai palati italici.

Ma torniamo a quegli ultimi giorni dell' aprile, finito quel giorno (era mi pare già il 27/28) all' alba il cielo si riempì di aerei e la radio avvertì di mettere alla finestra lenzuola bianche in segno di resa e ci fu un qualche contrasto in casa mia, con mio padre d' accordo e mia madre INVECE NO. Poi per una volta passò l' opinione del babbo con l' approvazione dei padroni di casa il ché era molto importante perché noi eravamo diventati i perdenti-perduti. Fra l' altro si erano innestati altri problemini per colpa mia, quel povero piede destro nato male e con una circolazione sanguigna (e relativo circuito di rigenerazione) complicata risultava ulcerato e mi faceva male oltre a ridondare di pus...

E anche stavolta accadde qualcosa di imprevisto e inatteso perché un reparto americano si era autoalloggiato dove prima erano gli ultimi SALO' e il loro capitano era italo-americano e, potenza delle donne anche se mia madre non mi pareva fosse un VAMP, aveva preso a cuore la mia condizione...

E allora tutto il paese vide l' UFFICIALE AMERICANO con in braccio il BENITO (figlio del sergente in camicia nera BRUNO CREMONINI) e affiancato dalla moglie VALDA del suddetto fascista attraversare il centro cittadino fino alla postazione americana di pronto soccorso.

Seppi tempo dopo che la cura era stata a base di PENNICILLINA, allora per noi italici ancora sconosciuta.










  




sabato 5 maggio 2018

ERA una notte che...

Era una notte che eee PIOVEEEVAAA e che tirava un fooorte veeento , immaginatevi che grande tormento peer un ALPIIINO che staavaaa vegliaarr…
Quella specie di coro Giovannino l’aveva appena imparato, anzi QUASI IMPARATO, perché incespicava sempre sulla durata delle vocali, e si fermava o troppo presto o troppo tardi e sarà per questo che il suo sub-conscio lo sollecitava anche mentre dormiva a provare. Poi aveva anche un qualche altro problema: la voce andava dove voleva lei e non dove sarebbe dovuta andare e uno dei capi gli aveva detto che non doveva preoccuparsi, succede spesso alla VOSTRA ETA’ (neanche fossimo in prima elementare) ed era che staremmo cambiando voce e, secondo lui, io che potevo sembrare un “soprano” (ma non sono le femmine?) sarei diventato “baritono” se non addirittura “basso”.
E c’ero rimasto male perché mio padre che è carpentiere quasi non passa dalla porta tanto è grosso e alto.
Finalmente Giovannino si era addormentato (quasi subito!) appena tornati sotto la tendona del campeggio montano, prima c’era stato il bivacco con le bracioline cotte sulle braci come sempre dopo il primo piatto, più o meno come sempre di minestrone,  e con le bricioline il solito radicchio con un po’ di rapanelli che, come dicevano i più grandi, servivano ad arricchire con un po’ di ROSSO tutto quel monotono verde.
E’ vero che ormai non ero più un cucciolo, o come è che chiamavano i più piccoli (lui prima non c’era), ma era stato preso in carico e promosso da subito  come PIONIERE.  Chissà se in qualche modo c’ entrava il suo babbo… Comunque c’era stato anche un altro tormentone a scuola con i compagni e che in qualche modo lo infastidiva, a scuola (ed era ormai in terza media) avevano sogghignato e l’ avevano quasi preso in giro quando aveva detto, con un po’ di enfasi, che era stato riconosciuto da subito come “pioniere”.
I suoi compagni avevano insistito si dice SCOUT (anzi boy-scout) invece NO, aveva garantito il suo babbo, gli scout sono altra cosa, è roba da borghesi, noi della sinistra vera abbiamo il nostro organismo democratico che viene dal popolo e che al popolo fa riferimento.
E comunque, qualunque cosa fosse o qualunque cosa si dovesse capire, una cosa era sicura qui sarebbe stato in pace senza i tormenti e gli strilli di quella sorellina rompigliona ogni volta che doveva essere cambiata, o dovesse mangiare o dovesse….
Avranno anche le loro ragioni il babbo e la mamma per perdere tanto tempo con quella lì e del resto devo ammettere che, se non ci fosse stata quella lì, forse sarei dovuto, quasi come sempre, stare tutta l’ estate proprio lì nel cortile condominiale praticamente da solo, già perché gli amichetti e i compagni di scuola erano via, come sempre durante le vacanze, e naturalmente a far casino e sguazzare al mare e fare baggianate sulla spiaggia.
Adesso però approfittiamo e dormiamo perché qui la mattina arriva presto e così adesso mi infilo ben dentro al sacco a pelo in modo da non prendere freddo e domani mattina alle cinque e mezza sveglia, muso sotto la fontanella che piove dal barilotto sopra il ramo, caffè latte e pane secco e poi via. Hanno detto infatti che domani andiamo fino al confine e abbiamo un appuntamento con gli altri pionieri, quelli della “stella rossa” che vengono dalla Slovenia, e che faremo il bivacco proprio nella terra di mezzo, così ha detto il capo, fra i due mondi: quello del FUTURO (il loro) e quello NOSTRO, da cambiare. SPERIAMOLO e… BUONANOTTE. A DOMANI!
Questo post fa parte di un gioco di scrittura tra blogger, su parole scelte a turno dai partecipanti, organizzato su Verba Ludica.

Storia di un Chimico sub-normale 1.5 verso la maturità.


Mentre li vivi gli anni sembrano lenti, anche se all' epoca erano ancora in vigore i trimestri e si cominciava ad ottobre finendo a giugno e l' estate, quella sì, era una stagione di sole e di mare. Nel mio caso un po' meno perché nell' estate c'era la transumanza e madre e figli andavano in campagna in casa CIARAVAL, fondo CARANTA, S. Prospero di Imola, via Lughese 35. Giusto alla curva che svoltava a sinistra, verso Mordano. A destra, lo stesso incrocio, portava al centro con una  imponente chiesa parrocchiale copia, più in piccolo, della Cattedrale imolese a sottolineare l' importanza del luogo un tempo feudo dei conti Manzoni, gli antichi padroni di nonno Giuseppe detto FITA e pro-zio Giovanni (scapolo) detto Giano', quei conti senza nipoti e senza più averi e ormai defunti con, nel ricordo degli ex-mezzadri, il regno della "pastora" ultima moglie ed erede della dinastia.

Dicono le leggende che alcuni dei "mezzadri" nella loro gioventù gagliarda avessero goduto di avvincenti colloqui con la contessa, del resto pare che fosse un genere di ricreazione diffusa a vari livelli. Dicevano, ad esempio, che mia nonna talvolta ispezionasse la campagna attorno casa in controlli attenti alle distrazioni del FITA con qualcuna delle lavoranti, ma ormai ai miei tempi  era diventato FITONA per l'ampia dimensione assunta dalla sua sagoma . A volte capitava che il nonno mi caricasse assieme a lui sul biroccino e andassimo a Imola nei giorni di mercato... un po' più di 6 km, quasi un' ora di viaggio paziente con le cavalle bolse di mio nonno.

Con le ginocchia coperte, estate e inverno con quel che oggi si chiamerebbe plaid, poteva capitare di sentirmi veramente una nullità quando un qualche pari di mio nonno ci superava in un rettilineo sulla Lughese  e con quei puledrini tutto muscoli e con in più quel tipo di calesse basso e steso neanche fossimo all' ippodromo. E poi l' arrivo a Imola, allo stallatico, con la cavalla che prima ancora di essere distaccata  dai finimenti si liberava di qualche metro cubo di liquido... Poi Fitona andava alla "piazzetta degli uomini", quasi sotto la torre dell' orologio nel centro di Imola ed erano tutti lì, uno addosso all' altro con la "caparèla" (un mantello avvolgente tipico) e il cappello a tesa larga a coprire quelle tonde capocchie calve, a parlare fitto di come andava il prezzo del grano, del latte, dei vitelli e maiali e polli e delle maldicenze economiche e non solo a carico degli altri colleghi.

Io intanto andavo in giro per commissioni ordinate da mia madre, dalle sue cognate e, a volte, delle cuginette molto più giovani che prendevano molto sul serio il Benito che abitava in città e  andava al Liceo... 

E, come sempre, mi sono distratto da quel che volevo raccontare ed è inevitabile, gli spazi, i contatti con un modo diretto e semplice, l'essere in qualche modo importante agli occhi degli altri anche adulti era ed è un tonico fondamentale specie se lo raffronto con il mio essere invece molto sotto quello standard tipico in una grande città e in quel particolare sistema chiuso di una classe del liceo pur "democraticissima" nel fare e nell'essere...

Riprenderemo il discorso, perché presto arriveranno momenti molto caldi in quel micromondo che, non va dimenticato, era sotto amministrazione anglo-americana (+ anglo e con tutta l'aridità prevalente inglese) e con il sentimento diffuso contro gli "sciavi" (termine storico di derivazione della "serenissima", senza significati necessariamente spregiativi) che OCCUPAVANO quell' Istria così vicina e così veneta, che però, e va detto, con Trieste  c' entrava per niente né in senso economico, né in senso culturale e lo si avvertiva subito proprio dal dialetto, così formalmente uguale ma così diverso nell' orecchio.

mercoledì 2 maggio 2018

MIO PADRE... ricordi di GUERRA... 3 ...BUSSOLENGO...

L' arrivo fu dolce e tranquillo, c'era stato qualche momento inevitabile con il solito PIPPO, ma niente di più. Ai miei occhi di bimbo abituati alla compagnia dei campi e allo sguazzare nell' acque del  Santerno mentre le zie risciacquavano nella corrente la biancheria di solida canapa... Già l' acqua che corre, l'acqua sotto il sole, l'acqua da entrarci dentro a sguazzare, quanta ce n'era lungo le coste del Garda e veniva istintiva una associazione di idee a una acqua vicina a casa, quella dei nonni contadini non lontana dal Santerno, un mondo improvvisamente lontano, ma i ricordi correvano veloci...

Ah! fare il bucato era un avvenimento in casa CIARAVAL (anche se si ripeteva più volte in un mese), proprio nell' antistalla c'era un tino di legno enorme e nella porzione di aia antistante la facciata  che fronteggiava la via LUGHESE si metteva sugli appositi sostegni  un enorme paiolo che poi si riempiva a secchiate di acqua, si accendeva il fuoco sotto e ci si avvicinava con dei secchi pieni di cenere oltre a un paio di carriole piene di  lenzuola da sottoporre ad un trattamento di piena efficacia.

Ragionando da chimico, come avrei fatto 15 anni dopo, la cenere era determinante perché ricca di carbonato di potassio, come molti detergenti da lavatrice di oggi, anche di quelli ragionevolmente delicati (si usa quello di sodio, come carbonato, perché più comodo, meno costoso e nella mescola non impacca). Il carbonato sulla pelle delicata non va bene, ma sulla fibre di canapa che per un paio di settimane avevano abbracciato giovani muscoli a volte in movimento anche convulso era molto adatto, per ridare splendore, un po' grigetto, al pulito... (il detersivo di casa contiene il cosiddetto sbiancante ottico, che giocando con la luce del sole aumenta l' effetto candore).

Una volta raggiunta la giusta temperatura nel paiolone di rame ecco l' aggiunta di cenere, la mescola lenta dell' impasto e a secchiate il riempimento del tino alternando il liquido con la biancheria. Il tutto a contatto fino al giorno dopo, con scarico del liquido e posizionamento della biancheria in appositi cestoni sul biroccio e poi l' attacco dell' asino e via  verso il SANTERNO a due passi da casa (un po' meno di 2 chilometri). Le donne, tre, salivano su a sedere sul traverso e noi bambini in qualche modo aggrappati dentro alla zona sponde del veicolo ben attenti a non creare incidenti e poi c'era la salita per superare gli argini, la discesa frenata per evitare ribaltamenti e poi finalmente le piccola spiaggetta di sassi su cui appoggiare gli SCANNI . A volte si univa uno degli UOMINI per aiutare nello smistamento dei pesi, ma non riguardava noi bambini maschi o femmine che fossimo, eravamo già a sguazzare stando attenti ai sassi, anche se ormai erano stati smussati dai secoli di rotolii, fiumane e rientri nell' ordine. Poi il ritorno e l' operazione di stesa che interessava tutta l' aia esposta bene al sole, il vero operatore finale.

Ma torniamo a bomba, la casa che ci ospitava era all' ingresso, con un enorme portone che consentiva l' accesso al nostro efficiente cavallo e lo scarico della tribù e i loro bagagli, e anche i "padroni di casa" accolsero la nuova famiglia con molta cordialità anche perché mia madre stranamente era di buon umore e sapeva che avrebbe avuto da fare visto che toccherà a lei gestire la mensa del gruppo di militi che erano arrivati da Ravenna. La guerra in quel momento sembrava lontana e per una volta, forse, aveva piacere di stare con mio padre che da qualche anno tra Russia, Ucraina e il Nord era stato una notizia della radio o  di una qualche lettera. Già, c'era stata anche una foto sulla SANTA MILIZIA con mio padre vestito da "marconista" era all' opera. Io sapevo che faceva il cuoco al comando là nel mondo della neve...

giovedì 26 aprile 2018

Storia di un Chimico sub-normale 1.4 biennio

Per la prima volta entravo in una classe "normale", sembrerà strano ma ripensandoci le prime due classi elementari erano in un scuola classica di campagna, nell'andamento la maestra aveva autorità assoluta, i genitori erano riconoscenti e sapevano di agire nell' interesse dei propri figli. Spesso i genitori non erano abituati o capaci di scrivere in modo corretto e i rapporti con il mondo esterno erano quasi esclusivamente dettati da esigenze familiari o puramente commerciali. Per gli adulti  c'erano i locali adatti agli scambi sociali, l' osteria alla sera per gli amici e le partite a carte, la Parrocchia come punto d' incontro domenicale o il mercato per i polli o simili per arricchire "il portafoglio" in previsione di acquisti per le femmine e i bimbi piccoli.

Di solito le donne arrivate per matrimonio avevano la domenica mattina da dedicare alla famiglia originaria e in questo le biciclette erano fondamentali, anche per caricare il sellino porta piccolissimi e sempre che non fosse il loro turno per le preparazioni del pranzo domenicale e per il piatto serale (di solito lesso e contorno in piatti singoli a libera scelta  messi nella madia e disponibili mano uno arrivava, perché la domenica pomeriggio non c'erano obblighi di orario per nessuno/a).

Poi c'era stato il periodo di guerra a Bussolengo e lì mia madre aveva la gestione della mensa militare per il distaccamento dei militi ravennati trasferiti lì dopo il 25 luglio 1943 mentre gli impegni scolastici non esistevano se non per l'anno 45/46 e dopo ero in collegio fino alla fine della quinta. Poi la decisione per il Seminario e lì l'aula di lezione coincideva con il luogo di studio esclusivo senza contatti esterni. In fondo per me la "scuola" corrispondeva al luogo dove vivevo.

Arrivai presto il primo giorno e non ci volle molto per sapere quale fosse il luogo dedicato tanto che arrivai quasi per primo, traversai tutto l'ambiente e andò bene il primo banco a destra rispetto alla cattedra proprio sotto il finestrone laterali e il posto verso il corridoio interno così il mio piede destro e i suoi problemi di nascita venivano accontentati. Tutto ovviamente mi isolava, a Trieste allora (ma forse anche oggi dopo quasi 70 anni) la lingua parlata era il dialetto. Quel dialetto di origine veneta completamente atonale, senza cantilene che il vento avrebbe strapazzato  ma anche senza particolari idiotismi a parte il ricorrente "mona" qua e "mona" là.

Già, quel vocabolo mi colpiva e ancor più mi rendeva disturbato perché quando dopo qualche giorno cominciai a chiederne il significato ai meno indisponibili mi rispondevano sempre di chiederlo alla TITTI... Già, le ragazze... onestamente erano un genere per me sconosciuto, le mie cugine o avevano ormai almeno sei anni più di me o altrettanti meno di me. Chiederlo a mia madre non mi fidavo, anche lei era nuova a Trieste poi qualcosa mi rendeva prudente e la corrispondenza con la parte anatomica femminile di ugual nome scoprii poi che non c'entrava per niente. Chissà perché il corrispondente vocabolo romagnolo (pataca), anch' esso femminile, dovesse nei fatti significare imbecille, presuntuoso, stupido, contaballe e via dicendo. O forse nasce dai poveri maschietti e il loro timore-desiderio verso l' universo delle loro dominatrici-schiave.
Si arrivò comunque alle prime operazioni, come l' appello e la presentazione quindi di studenti e prof e fu qui che cominciò uno dei primi fraintendimenti, io ero Cremonini e il mio compagno di banco Pillinini, ma per il prof era il contrario, così un giorno che il Pillinini era assente il prof si arrabbiò perché io non mi alzavo o rispondevo al suo richiamo, fra i sogghigni dei compagni smaliziati e pronti a sottolineare i miei inghippi. Poi per fortuna arrivarono i giorni dei colloqui fra genitori e prof. e ci fu un incontro determinante fra il prof. Paoli, di lettere, e la Valda, mia madre, con il suo cappottino marroncino che messo al confronto con gli abbigliamenti disinvolti delle altre madri denunciava la sua, e mia, origine economica. Eppure fu mia madre a vincere il confronto raccontando le mie avventure fisiche e scolastiche a quell' onesto prof che voleva convincerla a spostarmi su altri tipi di scuole più adatti alle mie, modeste, doti e la miserabile situazione economica complessiva. Gli aggettivi sono miei ma rispecchiano e rispecchiavano la realtà.

Paoli era uno dei membri della componente ebraica della città di Trieste, un gruppo efficiente e intellettualmente capacissimo oltre che molto legato ai traffici economici con l' oriente d' Europa sia cristiano che islamico. Da sempre raccoglievano le necessità dell' Europa di lingua tedesca facendo da ponte efficiente ed economicamente molto capace, anche se gli esiti della guerra non li avevano favoriti e, soprattutto (ma lo capii anni dopo) era in atto una brutale concorrenza di Genova, assistita da importanti lobbie politiche. Fra l' altro la componente ebraica triestina era "nazionalista" in senso italico e aveva collaborato molto con il primo nazionalfascismo.

La cura del prof fu immediata, mi spiegò che c'era una "biblioteca civica" aperta a tutti e dove avrei trovato ampia accoglienza e mi diede un elenco di autori da cominciare a leggere (genere Palazzeschi e simili, suggerimenti del 1950!) e a lui dovevo rendere conto in brevi colloqui orali e poi mi mise sotto tutela di un suo studente di QUINTA che sarebbe venuto a casa mia per curare linguaggio e, soprattutto, scrittura. Il tutto senza costi per la mia famiglia. Il tutto accompagnato da suggerimenti per il corso di disegno e architettura, altro mio handicap, specie per i disegni dal vivo. Già non avevamo mai scoperto che io avevo una forte miopia da un solo occhio e mi mancava la tridimensionalità... Altri miei deficit si riveleranno molti anni dopo quando avrei dovuto utilizzare le mie riposte doti di maschio, ma allora ero già laureato...

E così cominciò la gara del biennio finito il quale la nostra sezione "E" doveva migrare nella succursale di San Nicolò in pieno centro, a due passi da via Parini, casa mia, e dalle "rive" con quel mare fascinoso.

Ne parleremo poi ...




mercoledì 18 aprile 2018

STORIA di un chimico sub-normale 1-3. Allora si fa sul serio!

Ormai ero convinto anch' io, anche se dopo che era stato scoperto il mio auto-licenziamento" dal Seminario di Imola mi ero chiuso nel mio atteggiamento di rifiuto anche verso una qualsiasi decisione di natura scolastica. Del resto avendo già superato la scuola media inferiore le alternative erano, scartato l' avvio al lavoro in prima battuta, fra i licei e gli Istituti Tecnici, ricordo che allora, 1950, non erano certo tempi di scuola media "unica" e, infatti, quando si trattò di mio fratello di quattro anni più giovane classe 1940, dopo la scuola elementare la soluzione era scontata: l' avviamento professionale perché poi ci sarebbe stato il LAVORO, appena possibile o trovabile, naturalmente con il mansionario minimo. Anzi, in molte parti d' Italia, nelle classi popolari molti erano gli scolari ripetenti e che finivano le elementari a 12 anni e quello era un limite tacito per la scolarizzazione obbligatoria. 

Non dimentichiamo che siamo nel 1950, io andavo alle "SUPERIORI" dopo la media inferiore, quella con il latino alla quale ero arrivato attraverso uno specifico esame dopo la  Va elementare, mentre per gli altri (e mio fratello era "altro")  c'era l' opzione di un corso triennale appunto "professionale" da cui si usciva come APPRENDISTA, categoria OPERAIA. Volendo non c'era nessun "obbligo" scolastico finite le elementari o, meglio, era previsto un obbligo scolastico fino al compimento dei 12 anni (spostato a 14 anni con la Costituzione del 1948) ma per i ceti "inferiori" e le zone rurali e simili fioccavano le bocciature e spesso era già molto se si fossero completate le 5 classi elementari.

Per il mondo di oggi sembra sentire parlare di qualcosa di inimmaginabile eppure per le generazioni come la mia era già molto il reale compimento della scuola dell' OBBLIGO, Naturalmente mi riferisco alle CLASSI INFERIORI... 

Ma torniamo al Benito pronto per affrontare il LICEO e quindi bisognava pensare al vestire, e qui vennero opportuni i vestiti dei cugini imolesi Livio e Gigì che avendo 4 anni in più erano già praticamente dei giovanotti fatti e finiti  e presto gli avrebbero comprato anche la moto un Gilera 150,  all' epoca il non plus ultra dell' avventurosità.

Il riferimento ai miei cugini imolesi suggerisce di soffermarmi un attimo su un aspetto molto specifico, quello cioè della organizzazione interna di una famiglia contadina non solo proprietaria diretta ma che valeva anche se riferita a quella a mezzadria (in questo caso il primo 50% del reddito spettava al proprietario, salvo quanto in qualche modo sottratto alla realtà da un mezzadro intelligentemente "onesto"). Prendo ad esempio l' ordinamento contadino vigente in casa CIARAVAL (il soprannome della tribù dei Geminiani discendenti da Fita e Iusfina), c'erano delle regole economiche molto precise: preso il reddito annuo complessivo, il primo 50 % era la quota "del padrone" e comprendeva nonno Geminiani, suo fratello Gianò  e i  figli maschi maggiorenne, l' altro 50% era suddiviso fra quanti partecipavano al lavoro e quindi di nuovo i primi 7 appena indicati, più i nipoti "maschi" con 18 anni compiuti e gli eventuali "garzoni", aggregati cioè alla famiglia proprietaria. Interessante questa categoria, di solito si trattava di ragazzi di oltre 10 anni provenienti dalle zone collinari che venivano affidati dai loro genitori ai contadini di pianura. In questo modo si garantiva loro un tenore di vita "decente" e le famiglie d'origine sopravvivevano meglio. 

E le "femmine"? Le femmine, cioè le mogli dei miei 5 zii, dovevano accudire la intera tribù sotto il governo di mia nonna Iusfina (Giuseppina Golinelli), con turni settimanali dal lunedì alla domenica e durante il turno dovevano provvedere alla preparazione dei pasti e servizi collegati, oltre ovviamente alla pulizia ordinaria dei locali comuni, tutte poi dovevano provvedere in autonomia assoluta a quanto necessario per la loro singola famiglia. A loro spettavano i ricavi del commercio extra, come prodotti dell' orto, dell' allevamento di pollame e simili (come i piccioni) e/o dei conigli, che venivano venduti al mercato di Imola e i ricavi venivano poi redistribuiti fra tutte le femmine in età superiore ai 18. C'erano poi dei compensi sempre per le "femmine" per lavori interni, come la cardatura della canapa, lavori di sartoria e laneria, il rifacimento dei materassi di crine e tutte quelle specificità non strettamente agricole che venivano discussi fra le singole femmine interessate. Naturalmente quando necessario DOVEVANO collaborare alla pari come nella raccolta delle frutta, la pulizia da erbe infestanti, la sarchiatura e simili.

Ma torniamo al Benito, pronto con la sua giacca e cravatta (quella con il nodo già pronto e sostenuta con un elastico da nascondere sotto il collo della camicia), le scarpe nuove e i pantaloni lunghi che così coprivano anche le origini del suo zoppicare. Il liceo Oberdan non era poi così lontano dalla via Parini, usciti dal portone c'era proprio di fronte l' inizio di via Antonio Caccia e poi in fondo Largo Barriera da attraversare e quindi affrontare la salitella su in alto sopra le due gallerie (nei ricordi quando soffiava la "bora", ed era giornata di disegno, la tavola che ci portavamo dietro faceva da vela e piccolino qual ero rischiavo di farmi portar via) poi finalmente quei meravigliosi giardinetti superati i quali, e di nuovo finalmente, via Paiolo Veronese e quel liceo Oberdan così desiderato ma anche così temuto.

NB: precedenti



sabato 14 aprile 2018

MIO PADRE... ricordi di GUERRA...2. Da Casalbuttano a Bussolengo...

Quella bottega da barbiere non in esercizio, con gli occhi di oggi, potrebbe essere considerata, come una specie di monolocale dotata com'era di tutti gli accorgimenti necessari per viverci, a cominciare da quel grande lettone più che sufficiente a  contenere  mamma Valda (e ricordo la sua eterna aggiunta, come le pastiglie) e i suoi due figlioli, Italo di appena 4 anni e il sottoscritto, Benito, che non arrivava ancora a raggiungere gli 8 e doveva aspettare il 3 dicembre di quel 1943.
A ripensarlo adesso era forse la prima volta che vivevamo tutti nello stesso ambiente perché, per tutta una serie di coincidenze, e anche quando entrambi noi figlioli eravamo a San Prospero di Imola,  vivevamo in case diverse. Già perché da quando era cominciata la guerra, e mio padre era partito per il fronte russo, noi bimbi eravamo stati spostati da Ravenna alla casa originaria di mia madre, quella casa di SAN PROSPERO, in via Lughese 35, dove all' inizio del 1900 erano arrivati sposi novelli la mia nonna Golinelli Giuseppina, detta IUSFINA, e nonno FITA, che all' anagrafe significava Giuseppe Geminiani. Una famiglia di mezzadri al servizio del CONTE MANZONI che in zona era ancora proprietario di un po' di poderi prima di vendere anche quello  e proprio ai miei  nonni dopo la fine della guerra, verso il 1926. In quelle zone vitali anche i ruoli sociali erano in movimento e la guerra, quella del 1915-18, indirettamente era stata promotrice di novità che vedremo fra un po'
All' anagrafe la famiglia s'era arricchita di altri arrivi, a cominciare dall' Arcangelo (detto CANXI) nel1902, nemmeno 2 anni dopo arriva PRIMO e poi MINGHI' (all' anagrafe Domenico), poi Ernesto e Lino (chiamati così, erano nomi insoliti) e siamo già al 1910. Finalmente arriva una femmina, che morirà con la "spagnola", e poi a fine 1912 la VALDA. Intanto qualcosa era cambiato, nonostante mio nonno e i suoi fratelli più giovani ZVANO' (Giovanni) e Pietro anziché al fronte fossero stati mandati nelle fabbriche di Genova e dintorni nelle fabbriche di armi, la gestione del podere in mano a IUSFINA e l' aggiunta di un paio di "garzoni" avevano consentito un notevole miglioramento economico. Ricordo una battuta tratta dai rari racconti di mia nonna che ricordava il suo sistema di gestione casalinga, c'erano sacchi di castagne (i MARRONI) e di noci a disposizione dei ragazzini che così a tavola non arrivavano affamati, tutti alimenti che accompagnati dal buon pane casalingo soddisfacevano l' appetito, mentre polli, anitre e altre simile cose trovavano così disponibilità per la vendita nei mercati settimanali di Imola città.
Finita la guerra continuò lo sviluppo e i bravi e attivi romagnoli accumularono il necessario per acquistare i poderi dai NOBILI PADRONI, si formò così una nuova categoria di padroni in casa propria. Fosse anche influenza del nuovo status politico? Certo molte proprietà latifondiste tipiche del passato "vaticano" sparirono e nelle province romagnole trovò largo spazio la proprietà diretta accompagnata dalla ghettizzazione dei salariati. Nell' Emilia più a Nord non fu così, rimasero le grandi aziende.
Ma torniamo al Benito e Italo, io ero affidato alla zia Carolina, giovanissima sorella di mia madre, nella casa principale detta CARANTA di Via Lughese, Italo invece era nell' altro podere a qualche chilometro di distanza e circondato da una grande ansa del fiume Santerno. Lì c'erano i due miei zii più grandi, Canxi e Primo, con mogli e figli più grandi e ben lieti di avere in aggiunta l' ultimo cucciolo dei Cremonini, anche per una abbondante apporto di altre "femmine", visto che in aggiunta a FINA (Giuseppina anche lei, moglie di Primo) e Bianchina (moglie di Canxi), c'erano Lina e Graziella nate prima dell' atteso maschio (GIGI' cioè Luigi), tutti e tre figli di Primo e Fina, mentre Bianchina  e marito c'erano riusciti al primo colpo.
Ma torniamo ai due fratellini che forse per la prima volta stavamo tutti e due nel lettone coccolati da mamma Valda senza problemi di orari e impegni se non quelli ovvi del vivere, visto che allora non occorrevano tanti accessori igienici o di attrezzature. Fu comunque un problema per poco più di una settimana, giusto il tempo che mio padre arrivasse con un cavallo e un biroccino tanto da caricare tutti con i relativi bagagli e via verso Bussolengo dove ci aspettava un quasi appartamento nel centro sulla via principale che porta alla Chiesa.
Mi viene anche in mente un fatto inconsueto, nel prato retrostante c'era un ampio prato con grandi alberi e c'era anche una quasi mia coetanea, mese più mese meno, che si arrampicava su per il tronco e sui rami. Lei era evidentemente di casa e ben allenata e i bimbi e le bimbe piccole non è che avessero particolari problemi di frequentazioni reciproche e, mentre quella amichetta si arrampicava, mi capitò di guardare in alto (allora non è che ci fossero particolari attenzioni al vestire dei bimbi) e mi accorsi che sotto a quel grembiulino e mutandine lente c'era qualcosa di diverso...
Ma torniamo al viaggio, a metà mattinata finalmente babbo BRUNO arrivò con un biroccino trainato da uno scalpitante cavallo e il caricamento fu veloce, c'erano un po' più di cento chilometri per arrivare a Bussolengo il ché significava molte  ore di viaggio. Viaggio  fantastico specie con gli occhi di uno che praticamente era sempre vissuto in pianura e fu ancora più grande la meraviglia quando cominciammo a bordeggiare il lago di Garda, per non parlare del riattraversamento del PO, senza per fortuna i batticuore del viaggio in corriera Ravenna-Bologna-Casalbuttano della partenza ormai rimasta al passato.
Poi, dopo quasi 10 ore,  finalmente, l’arrivo a Bussolengo. E mio padre fu per la prima volta oggetto di grande interesse da parte mia, in fondo io e LUI eravamo già GRANDI!


MIO PADRE... ricordi di guerra. 1. Dalla Russia a Casalbuttano.


Che buffo, stavo leggendo le solite NEWS di prima mattina  e come per caso c’era un riferimento a una città a me molto nota non fosse altro perché secondo i documenti lì sono nato in un’epoca lontana, il 1936 a dicembre il 3 del mese. La città? Ma Imola, caposaldo della Romagna, quella quasi bolognese, 70 mila abitanti, al centro di una piana ricca di una  florida agricoltura e da sempre (cioè da dopo il 1945)  sicuro insediamento di una maggioranza politica sicuramente legata al PCI e poi, inevitabilmente, al successivo PD.

E anche lì sembra che ci sia un qualche cambiamento legato alla irruenza elettorale delle cosiddette STELLE. Ma non è di questo che volevo parlare, stranamente il pensiero è andato a mio padre, Bruno. Dico stranamente perché se ripenso ai ricordi , all’ infanzia ma anche poi adolescenza e via crescendo a dominare è la Valda (come le pastiglie le piaceva sottolineare), cioè mia madre vera dominatrice e padrona della piccola tribù.
Il più antico ricordo che io ho di lui è l’ entrata nella cucina-soggiorno-pranzo-divano-dove io dormivo delle case popolari di via Fiume 16, Ravenna, anno attorno al 1942. Mio padre entra in casa, io ero in ginocchio e sotto le ginocchia dei sani chicchi di granturco (mia madre era stata buona, altre volte metteva per terra i chiodini da calzolaio!), e mia madre gli intima a provvedere ad una corretta punizione nei miei confronti. L’ allusione era netta e precisa al cinturone della divisa di ottimo cuoio nero, come nera era anche la divisa della MVSN (milizia volontaria  sicurezza nazionale). Non era la prima volta che era stato invitato a farlo, ma stavolta il tono era deciso e richiedeva la immediata esecuzione dell’ ORDINE e mio padre ci provò. Si tolse con calma la giacca, la ripose ben bene sulla spalliera di una sedia, tolse adagio la fondina della rivoltella d’ordinanza e pure il cinturone e lo alzò per picchiare secondo ordine ricevuto ma … non ci riuscì, scansò mia madre, andò nell’ altra unica stanza per cambiarsi e forse anche per sentire in modo meno urlato quel che sua moglie, e madre mia, gli diceva…
Poi i ricordi son pressoché assenti, mio padre partì per la campagna di Russia (i suoi colleghi che erano andati in Spagna erano stati tutti promossi) tornò quasi un anno dopo in una breve licenza e poi, definitivamente, dopo un po’ di mesi a campagna di Russia conclusa con la nota disfatta e aver scarpinato per centinaia e centinaia di chilometri, quasi tutti a piedi, dall’ Ucraina fino a Bologna, centro di smistamento e di raccolta. A piedi perché i tedeschi che rientravano non volevano certo mettere a bordo degli italiani, anche se in camicia nera, ed erano diretti altrove dove pensavano di bloccare la disfatta finale.
A Ravenna intanto riprendeva la vita solita, arricchita dai bombardamenti, il rifugio faceva quasi parte della “casermetta” dove mio padre era assegnato ed era un locale grande, circolare ed era parte di un complesso con funzione di obitorio sotto una torre. Ricordo le vibrazioni indotte dalla caduta delle bombe, ma ricordo anche una atmosfera tranquilla, forse per la reazione protettrice delle madri verso i figli che non DOVEVANO avere paura. Strano a ripensarci. O forse era il ricordo di qualche mese prima quando stando sull’ aia del podere di mio nonno (e  dei fratelli di mia madre) a San Prospero di Imola avevamo visto le luminarie dei bengala su Ravenna quasi in assenza di rumore o altro, data la distanza di qualche decina di chilometri, e sembravano quasi i fuochi d’artificio di certe festività religiose.
Comunque andò tutto bene, almeno a Ravenna, perché altre novità erano in arrivo stante la situazione politico-militare. I cosiddetti alleati erano ormai entrati nel territorio nazionale, si erano attestati sulla cosiddetta linea gotica ed era anche nata la RSI REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA quasi a voler immaginare il ritorno del Mussolini alle origini. Così mio padre dovette scegliere o uscire dalla MVSN o seguire il nuovo destino nella cosiddetta Repubblica di Salò e quindi lasciare Ravenna, come in effetti facemmo.
Di quel viaggio ho ricordi precisi a partire con la corriera (PULLMANN allora non usava) da Ravenna con arrivo a CASALBUTTANO (Cremona). Come famiglia eravamo solo noi 3, mia madre io e mio fratello (meno di 4 anni), mio padre era già a BUSSOLENGO (Verona) dove era di servizio, e la prima sosta era a BOLOGNA dove arrivammo per l’ ora di pranzo in un ristorante quasi alle DUE TORRI, dove adesso al piano terra c’ è la STANDA. Ho un ricordo molto preciso perché proprio mentre arrivò il cameriere con i maccheroni scattò l’ allarme aereo, poca roba, il solito PIPPO (una specie di incubo degli alleati “nemici” costituito di solito da un aereo singolo pronto a bombardare o mitragliare) ma quanto bastava per dover cercare una protezione sicura, un qualche rifugio fino al cessato allarme. E non fu senza conseguenze da quella volta, e per oltre 60 anni, non riuscii più a mangiare un piatto di maccheroni poi potemmo ripartire con la corriera per raggiungere la destinazione il ché significava dover raggiungere il PO e attraversarlo.
Naturalmente accadde anche un altro quasi atteso imprevisto perché una volta arrivati sul PO restammo imbrigliati in mezzo a una colonna militare tedesca e quello era il rischio minore se non fosse che a un certo momento a metà del ponte di barche il motore della corriera decise di fermarsi e il motorino d’ avviamento non riuscì a riavviare il motore. Ho ancora, dopo tanti decenni, il ricordo degli ordini secchi degli ufficiali tedeschi che ormai erano decisi a rovesciare la corriera nel PO e tutti gli adulti erano scesi a spingere il pullman senza risultati tanto che scattava il grido CILECCA. Poi finalmente il motore si avviò e potemmo arrivare oltre il fiume e riprendere il percorso che, inevitabilmente, fu poi di nuovo disturbato dal mitico PIPPO, con blocco e discesa dalla corriera, riparo sul fondo di un canalone per fortuna asciutto, in attesa di capirne le intenzioni e poi finalmente, era ormai buio, arrivammo a destinazione.
Era una specie di fattoria con attorno un parco e un ampio terreno agricolo e la facciata rivolta all’ ingresso aveva come dei negozi così che a noi (mamma e figlioli) toccò quello con l’ insegna di un barbiere e con dentro un grande lettone tipo matrimoniale oltre al necessario per l’ igiene più urgente. Era ora e i cuccioli di mamma Valda poterono sentirsi al sicuro tanto da approfittarono subito, dopo aver accatastato in un angolo i pochi bagagli, per infilarsi sotto le coperte e dormire fino all'alba del giorno senza altri pensieri di aerei, bombe o mitragliate.

prova 1

prova 2
fine

mercoledì 28 marzo 2018

STORIE DI SARDEGNA...




Era ormai lì che stava per arrivare la PRIMAVERA, non serviva il CALENDARIO in quel mini giardino chiuso fra le mura di  queste case. Eppure solo 8/9 decenni fa era stato tutto libero e a disposizione del primo che arrivava. Visto con gli occhi di oggi questo SANT’ AVENDRACE cagliaritano sembra  impossibile fosse  stato  libero  agli occhi, ai passi, ai giochi dei ragazzini ma se guardi all’interno di alcune corti (quelle non trasformate in parcheggio) t’accorgi quel che un tempo  era o, soprattutto, c’era.
Nella Sardegna dei primi del 1900 era in atto una emigrazione costante dai paesi  dell’ interno a 100-200 km da Cagliari soprattutto di ragazzini sui 9-11 anni, maschi, provenivano da famiglie di piccolissimi possidenti di qualche ettaro magari disperso a mini pezzature arrivate come dote delle mogli in famiglie con una dotazione di 12-18 figli, almeno al 50/60 % viventi e questi ragazzini arrivavano “a bottega” da compaesani stabilitisi in città da tempo. Ancora adesso corrono gli stessi cognomi nello stesso settore (macellai, panettieri, fornai, bar e simili) a conferma che la solidarietà paesana era viva e convincente. Ma questo è solo un modo per dare cornice ambientale al microscopico mondo ancora in attesa degli attori.
Il primo a presentarsi, e ci se ne accorge, è il gattone  dal balzo rombante e viene dal terrazzo-tetto del piano secondo (e ultimo) che con un COLPO ben risonante  piomba sul tettuccio di lamiera dell’angolo degli attrezzi del giardino e poi  subito dopo con un altro balzo di quasi due metri arriva sul muro di confine con i palazzi “nuovi” (di 30 anni fa), palazzi a 5 e più piani che sembrano costruiti apposta e messi proprio lì per impedire la “vista a mare”! Strano signore questo GATTO, particolarmente dispettoso sempre alla ricerca di novità utili a scaricare la sua arroganza, iniziando l’ esplorazione.
Il terrazzo sopra è ovviamente dotato di tutti quegli arricchimenti che proteggono (?) l’intimità dall’ altra barricata di palazzoni (anche loro sui 30/40 anni, anche loro come barriera panoramica se non per qualche fugace intimità visiva ferocemente protetta agli sguardi da tendaggi, a volte stagionati come o più degli inquilini)  con arricchimenti dei soliti rampicanti negli ovvi e soliti contenitori pieni di terriccio (che quel bravo “nero” ama scompigliare tutto attorno suscitando ovviamente irritazioni e maledizioni di chi ama ordine e pulizia (la LEI) e di chi cavallerescamente si dedica a prevenire malumori anche se non c’è scopa che lo colga sul fatto a quel delinquente con i baffi.
Ma gatto nero tuttavia non è solo, c’è un'altra abitatrice del terrazzo, timida, discreta, quieta e ostinata passeggiatrice con riposini frequenti e per questo porta con sé la propria casa cercando tuttavia di non lasciare segni del suo passaggio, attenta com’è a non strisciare dove altri possano maltrattarla stante la fragilità della sua casa. E’ appunto la LUMACA, anzi una lumachina nata da non molto e proprio da quelle uova rilasciate dalla lumaca madre e dalle quali alla schiusa emergono quelle neonate come sempre già ben dotate della loro casetta  inabbandonabile.
Poi accadde, come a volte capita, che  qualcuno  si trova con alcuni impicci fra i piedi e non c’è luogo più adatto e apparentemente discreto per disfarsene come un terrazzo, soprattutto se schermato da fiorenti rampicanti tutti attorno. Fu così  che sul terrazzo arrivò, come per caso, un enorme globo di plastica trasparente di quasi due metri di diametro e ovviamente divenne presto oggetto di molto interesse per tutti gli abitanti del luogo, a cominciare naturalmente dal solito gattone tutto compreso nel suo ruolo di unico potente signore del regno. Ma non fu il solo e fu raggiunto, dopo una settimana di lungo cammino, dalla lumachina che, pur scivolando ogni tanto sulla parete della bolla non bastandole la viscosità della striscia a trattenerla, ce la metteva tutta per sopravvivere anche in quel nuovo mistero tentando il più possibile di non farsi notare anche se non poteva nascondere la lenta traccia che lasciava strisciando.
Per fortuna GATTO NERO non pareva interessarsi a lei e dopo un po’ NERO andò alla ricerca di luoghi più interessanti  epperò per manifestare a tutti la sua irritazione come saluto con due zamponate colpì e chiuse l’ oblò della sfera, rendendola così isolata da tutto il resto del terrazzo e, forse senza volerlo, imprigionò la lumachina all’ interno.

Ma per fortuna  anche per la lumachina niente di immediatamente tragico,  c’era aria umidità ed ossigeno per anni, almeno così le suggerivano le memorie incollate nei suoi neuroni ereditati. Quel che invece non poteva immaginare era l’ arrivo imprevisto di un fortunale insolito originato dal solito maestrale che si era giusto incanalato fra le alte case con un furore insolito, tanto da investire quel globo come fosse un palloncino giocattolo. Per la lumachina accadde il finimondo, si sentì rotolare e a volte volare e meno male che la sua scia viscosa faceva da collante sulle pareti, ma si trovò tuttavia a rotolare tanto che  il sole che traspariva dalla parete a volte sembrava addirittura sotto di lei e non capiva, poverina, che era lei a rotolare sotto sopra assieme alla parete in una vera e propria RIVOLUZIONE planetaria che la sottoponeva a un continuo ballonzolare manco fosse ancora all’ interno dell’ ovetto materno…

Però l’ isolamento in fondo era quasi un vantaggio, quella umidità condensata sulle pareti si trasformava in un vapore che in parte ricondensava su di lei come una simpatica doccia e nel liquido c’era anche una microscopica presenza di componenti utili alla sua alimentazione e le venne da pensare che allora non doveva temere per il suo FUTURO, almeno per l’ immediato

E non sbagliava anche perché prima o poi doveva accadere qualcosa d’altro di imprevedibile e, infatti, un vortice catturò quella sfera trasparente e la mandò a sbattere contro un comignolo bello e resistente… e fu così che il mantello della sfera si ruppe in tanti frammenti e fortunatamente uno di questi frammenti trasportò la lumachina planando via via sempre più lentamente fino ad atterrare fra gli arbusti del profumato giardino sottostante.


Una volta tanto era un giardino rustico e non tenuto come si usa dire all’ italiana e proprio per questo pieno di ogni sorta di piante e cespugli, avanzi di foglie e frammenti, pieno di vita e tutti questi angoli e angolini erano da esplorare piano piano e con attenzione così da assaporare ed assimilare quanto fosse utile a vivere e crescere naturalmente… alla faccia di tutti quei gattacci neri e insolenti!!!


FINE…